Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

14-04-2014

L'essere umano vive in continua simbiosi con numerosi microrganismi onnipresenti nell'ambiente e parte integrante della nostra vita. Nell'intestino di un individuo sano se ne contano oltre 400 specie e il loro peso complessivo raggiunge in media il chilogrammo. La maggior parte di questi nostri ospiti riveste un ruolo importante in un gran numero di processi fisiologici: degradano i pigmenti biliari, sintetizzano le vitamine (K, B1, B6) e frenano la proliferazione dei microrganismi patogeni, diventando così parte integrante del nostro sistema immunitario. Tra i numerosi virus, batteri e funghi microscopici che colonizzano il nostro organismo vi è anche la Candida albicans, un lievito benigno che s'instaura nell'intestino di tutti gli esseri umani, in genere poco dopo la nascita, e vi rimane sempre presente. In condizioni normali, la candida è benefica e svolge un ruolo importante nella digestione degli zuccheri. La sua presenza diventa patologica solo quando, in seguito ad un indebolimento del sistema immunitario, comincia a moltiplicarsi a dismisura all'interno del corpo umano. Una volta attraversata la mucosa intestinale, arriva nel flusso sanguigno, dove libera le proprie tossine che vengono assorbite dall'organismo, dando luogo ai tipici sintomi della «sindrome da lievito»: stanchezza, irritabilità, alterazioni dell'umore, depressione, allergie, disturbi intestinali, rallentamento della digestione, intolleranze alimentari, aria nell'intestino, gonfiori ecc. Inoltre, la candida interferisce con l'assorbimento ed il metabolismo dei nutrienti essenziali: vitamine, minerali, aminoacidi, indebolendo ulteriormente l'intero organismo.
Si viene così a creare un circolo vizioso con il rischio della cronicizzazione di questa sindrome, con la quale, spesso, si finisce per convivere per anni sottovalutandone la gravità e subendo un progressivo indebolimento di tutto l'organismo, fino ad arrivare ad uno stato di stanchezza permanente che diventa anch'essa cronica. Questa sindrome colpisce tutto l'organismo ed in particolare l'apparato gastrointestinale, quello urogenitale, il sistema nervoso e il sistema immunitario; ed è più presente nelle donne, la cui predisposizione è otto volte maggiore rispetto agli uomini.

COME SI CURA

La candidosi cronica è una malattia di tipo multifattoriale pertanto la sua risoluzione è possibile solo con un approccio globale, la semplice assunzione di farmaci antifungini non è sufficiente, anzi predispone a recidive. Per ottenere risultati efficienti è pertanto importante individuare e correggere i fattori che predispongono alla proliferazione della Candida, tra cui l'assunzione prolungata d'antibiotici che, alterando la flora intestinale e distruggendo i batteri simbionti (buoni), favoriscono la crescita del fungo. Proprio l'abuso dilagante di questi farmaci è ritenuto il primo fattore di problematiche gravi come lo sviluppo di microrganismi sempre più resistenti, l'indebolimento della flora intestinale e lo sviluppo d'infezioni silenti, quali appunto la «sindrome da lievito», oggi molto frequente, ma raramente riconosciuta nell'ambito della medicina convenzionale a causa della sintomatologia molto ampia e variabile. Oltre ad intervenire sui fattori predisponenti è altresì importante riequilibrare il «terreno di base» (cioè le condizioni di salute generali) e creare le condizioni per cui la candida non possa più proliferare. Per questo motivo è fondamentale sia rafforzare il sistema immunitario, sia la flora intestinale, entrambi impoveriti da un'alimentazione scorretta e squilibrata.

GLI ALIMENTI DA EVITARE

Quali sono le basi di una dieta anticandida? La candida vive di zucchero e pertanto la prima correzione da fare è l'eliminazione degli zuccheri (zucchero, miele) per almeno due o quattro mesi, a seconda della gravità della sindrome, dopodiché si può ritornare gradualmente ad utilizzarli, evitando però accuratamente tutti gli zuccheri raffinati. In genere non è un divieto facile da rispettare perché chi soffre di candidosi cronica sente un grande desiderio di assumere zuccheri; bisogno indotto dal lievito stesso che spinge così l'organismo ad assumere l'alimento che gli permette di svilupparsi. Da evitare, sono anche il latte e i latticini, il cui elevato contenuto di lattosio favorisce la proliferazione del fungo. Oltre ad essere uno dei più comuni allergeni, il latte può talvolta contenere anche tracce di antibiotici che a loro volta possono danneggiare ulteriormente la flora batterica intestinale. Altri alimenti da eliminare sono quelli contenenti lieviti e muffe: formaggi, bevande alcoliche (birra compresa), e cereali lievitati (pane, pasta, pizza, brioche ecc.).

GLI ALIMENTI CONSIGLIATI

Tra gli alimenti consigliati vi sono le verdure come cicoria, carciofo e tarassaco, che stimolano la funzionalità epatica. Diversi studi hanno infatti evidenziato l'importanza del miglioramento delle funzioni digestive e del ripristino delle normali secrezioni digestive e in particolare della produzione di acido cloridrico, degli enzimi pancreatici e della bile nell'inibizione della proliferazione di candida. In definitiva, l'alimentazione dovrebbe essere ricca di ortaggi, frutta, cereali integrali (ma senza eccedere), legumi, pesce, carne, semi, oli di semi (particolarmente consigliato è l'assunzione di un cucchiaino di olio di semi di lino al giorno) e di oliva spremuti a freddo. Di grande importanza sono anche le fibre (di cui sono particolarmente ricchi legumi e cereali integrali) che oltre all'azione positiva sulla flora intestinale, evitano i ristagni intestinali e i fenomeni di fermentazione e putrefazione ad essi collegati. Inoltre nella dieta non devono mancare zinco, magnesio, vitamina C (si trovano soprattutto in ortaggi, agrumi e semi oleosi). Un alimento particolarmente indicato nei casi di candidosi è l'aglio (uno spicchio al dì), dotato di un'eccellente azione antifungina.
Se da un lato, dunque, la cura anticandida deve partire da una revisione dell'alimentazione quotidiana, dall'altro è fondamentale porre attenzione a tutto ciò che indebolisce il sistema immunitario: antibiotici, cortisone, farmaci immunosoppressori, amalgame dentali, vaccini e pillola anticoncezionale. Inutile ricordare che anche lo stress indebolisce il sistema immunitario. Pertanto, per essere efficace una terapia anticandida comporta spesso un adeguato cambiamento dello stile di vita, la pratica di qualche attività fisica e l'adozione di ritmi che consentano il recupero delle energie consumate e un adeguato riposo. Massaggi, esercizi di respirazione, rilassamento, visualizzazioni, stimolano la secrezione di endorfine e quindi migliorano la risposta dell'intero organismo agli inevitabili fattori stressanti che s'incontrano nel quotidiano. Buona abitudine è quella di dedicare almeno un giorno alla settimana, a se stessi. Non è così difficile, basta spegnere la Tv e creare spazi per stimolare una comunicazione più profonda con il proprio partner, i figli o gli amici; per esempio scambiando semplici massaggi con oli essenziali ai piedi o sulla schiena (di solito il profumo che si preferisce è quello di cui si ha bisogno). Ovviamente si tratta solo di un suggerimento, la cosa essenziale è comprendere l'importanza di prendersi cura di sé. La ragione è molto semplice, la candida ha un grande nemico: la gioia e la serenità interiore.

ALIMENTI SI

- Semi oleosi.

- Legumi.

- Pesce.

- Carne.

- Oli di semi e di oliva spremuti a freddo.

- Cereali integrali non lievitati.

- Frutta e ortaggi freschi.

ALIMENTI NO

- Dolci e zuccheri semplici (zucchero, miele).

- Latte e latticini.

- Formaggi e bevande alcoliche (birra compresa).

- Cereali lievitati (pane, pasta pizza, brioche).

14-04-2014

L'eczema è la più comune delle malattie della pelle. Rappresenta una particolare reazione infiammatoria della cute rispetto a vari fattori interni ed esterni e comprende numerose alterazioni, le più comuni delle quali sono la dermatite da contatto, la dermatite atopica e la dermatite seborroica. La dermatite da contatto è una malattia professionale scatenata da sostanze specifiche, tipica di fotografi, parrucchieri, estetiste, verniciatori, muratori, pulitori, personale sanitario e altri lavoratori che si trovano a maneggiare prodotti chimici particolarmente aggressivi. Si riconosce per una prima fase di sensibilizzazione, a cui segue la reazione cutanea in seguito al ripetersi del contatto con la sostanza responsabile della dermatite. Inizialmente la malattia si localizza nella zona della cute dove è avvenuto il contatto per poi svilupparsi in diverse fasi: inizia con un arrossamento cutaneo (fase eritematosa), poi sulle chiazze compaiono delle vescicole, quindi, per rottura delle vescicole, vi è fuoriuscita dell'essudato sieroso, l'essudato si rapprende in croste ed infine, quando la lesione si avvia verso la guarigione, vi è un processo di cheratinizzazione con la formazione di squame. Se il processo si cronicizza per il persistere del contatto con la sostanza, la cute si ispessisce e in seguito può estendersi in altre parti della pelle, anche lontane dalla primitiva localizzazione.

DERMATITI E ALLERGIE

La dermatite atopica è una forma cronica di tipo allergico che produce risposte abnormi rispetto a normali stimoli ambientali. Si associa spesso alla rinite e all'asma. Le lesioni sono più frequentemente localizzate sul viso, in prossimità delle pieghe di polsi, gomiti e ginocchia. Può manifestarsi a qualsiasi età, è molto comune nei bambini e in metà dei casi sparisce entro i 18 mesi di età. La dermatite seborroica è caratterizzata da una alterazione della composizione del sebo che risulta più ricco di colesterolo, trigliceridi e paraffine. Nel lattante è anche detta crosta lattea e colpisce il cuoio capelluto; si manifesta con un arrossamento e chiazze grasse, squamose, giallastre, talora si forma una spessa calotta che ricopre il capo. In ogni caso, vi è assenza di prurito. L'eczema, in particolare la forma allergica, colpisce dal 2,4 al 7% della popolazione. In due terzi dei soggetti interessati si ha un'anamnesi familiare positiva e sono moltissimi i casi di miglioramento in seguito a cambiamenti nell'alimentazione.
Molti studi hanno documentato il ruolo fondamentale delle allergie alimentari in questi disturbi, così come l'allattamento al seno è risultato fondamentale per la prevenzione. E quando l'eczema compare, nonostante l'allattamento al seno, è perché c'è stato un passaggio di allergeni attraverso il latte materno. In questi casi occorre richiedere alle madri di evitare di consumare gli alimenti a cui sono allergiche. Spesso i responsabili dell'allergia sono latte e derivati, uova, arachidi e in misura minore cioccolato, frumento e agrumi. Nella maggior parte dei casi, eliminando le cause dell'allergia la guarigione è completa. In uno studio questi tre cibi erano alla base dell'81% dei casi di eczema, mentre un altro 60% dei bambini con grave dermatite atopica aveva un test alimentare positivo per uova, latte di mucca, arachidi, frumento e soia. Teoricamente qualsiasi cibo può essere causa di allergia per cui è bene verificare quale sia l'alimento che disturba attraverso test kinesiologici oppure un'alimentazione basata sul gruppo sanguigno. Una semplice eliminazione di latte e derivati, uova, arachidi, pomodori, coloranti artificiali e conservanti determina una remissione almeno nel 75% dei casi.

PESCE AZZURRO E MIRTILLI

Nei soggetti che soffrono di dermatite atopica la mucosa intestinale è particolarmente permeabile per cui si ha un maggior carico antigenico sul sistema immunitario che è iperstimolato e questo porta al rischio di sviluppare ulteriori allergie o intolleranze alimentari. Un altro fattore importante sembra essere un'eccessiva proliferazione della Candida albicans (un fungo) nell'intestino. In questi casi, rimedi come l'estratto di semi di pompelmo, in grado di eliminare la candida intestinale, possono migliorare molte forme di eczema. Spesso, i soggetti che ne soffrono sono costituzionalmente più portati a soffrire di un'alterazione del metabolismo degli acidi grassi essenziali e delle prostaglandine, pertanto si consiglia l'assunzione di alimenti ricchi di omega-3 come l'olio di pesce, o più semplicemente il consumo di pesce azzurro (sgombro, salmone, aringa), o di olio di semi di lino spremuto a freddo. Altri alimenti curativi sono quelli ricchi in flavonoidi come il mirtillo (in frutti o come succo spremuto a freddo) e il the verde. Anche lo zinco è un elemento importante nel metabolismo degli acidi grassi essenziali; bassi livelli di questo minerale sono comuni nei soggetti che soffrono di eczema, pertanto si consiglia il consumo di semi oleosi (sesamo, girasole, zucca ecc.) che ne sono particolarmente ricchi. Molto utile in questi casi è anche l'integrazione con vitamina E ed A di cui sono molto ricchi l'olio di germe di grano, la frutta e la verdura di colore arancione.
In conclusione, possiamo osservare che i risultati degli studi scientifici e delle ricerche sulle allergie alimentari, combaciano con i dettami dell'alimentazione basata sul gruppo sanguigno. Nel soggetto che soffre di eczema in cui è evidente una predisposizione costituzionale, la nutrizione è di fondamentale importanza per la correzione di un terreno che tende a manifestare i suoi squilibri a livello cutaneo. Dunque attraverso un corretto stile di vita e un'alimentazione equilibrata è possibile guarire i disturbi e ritrovare la salute.

ALIMENTI SI

- Carne rossa.

- Frutta e verdura di colore arancione.

- Mirtilli, tè verde.

- Semi oleosi (sesamo, girasole, zucca).

- Cereali in chicchi.

- Zuppe di miso, tarassaco e verdure a foglie verdi.

- Pesce azzurro.

- Olio di lino spremuto a freddo.

ALIMENTI NO

- Cozze e gamberi.

- Fritti e cotture alla griglia.

- Latticini e salumi.

- Farina di frumento.

Lunedì, 14 Aprile 2014 12:48

LA VACCINAZIONE NON E' UTILE.

14-04-2014

Le statistiche dimostrano che la pratica delle vaccinazioni obbligatorie nei primi anni di vita non ha accelerato il naturale declino delle malattie invalidanti e mortali tradizionali, fenomeno certamente dovuto in prevalenza al miglioramento del benessere alimentare e sanitario. Anzi, dove è possibile fare un confronto fra paesi vaccinati e non, si evidenzia perlomeno l'inutilità del vaccino.

ANTITETANICA

La comunità non deve difendersi da questo contagio semplicemente perché non è una malattia contagiosa. Tra l'altro in Europa non è mai stata una malattia dei bambini e non si può neanche sostenere che vaccinando tutti si impedisca la circolazione del bacillo perché si riproduce nell'intestino dei ruminanti ed è presente nella polvere di casa, cioè la malattia non la si può far sparire. Anche prima della vaccinazione i casi erano qualche centinaio all'anno ed allora come oggi si riferiscono quasi sempre ad anziani.

ANTIEPATITE B

Delle quattro vaccinazioni obbligatorie questa, voluta da De Lorenzo, gode di molti studi pubblicati sulla sua pericolosità e nessun pediatra ha il coraggio di difenderne l'obbligo. Il totale delle epatiti (A, B, C ecc.) è "crollato" prima del vaccino, passando dai 54.000 casi del '69 ai 2.733 della sola B del '94, (nel '97 circa 2.000), benigni al 95%, cronici nel 4% e mortali solo nell'1%.
La B corrisponde normalmente alla metà del totale. Sui bambini poi il vaccino è inutile perché gli anticorpi che produce durano due anni nei neonati e quattro negli adulti; considerato che la malattia è degli adulti e comincia ad apparire timidamente a 15 anni, se ne conclude che farlo a 0 ed 11 anni è matematicamente inutile e può fare solo male.

ANTIDIFTERICA

Anche in questo caso vaccinare tutti per una malattia che "non c'è" produce più effetti collaterali dannosi che prevenzione. Nei paesi in cui il vaccino viene poco o per niente usato, la malattia non è presente comunque, mentre appare in paesi supervaccinati (come la Russia) se c'è fame e freddo; inoltre non è eradicabile. Infine, se la vaccinazione di massa aveva un senso teorico nel '39, certamente non lo ha oggi, quando ad esempio sono disponibili gli antibiotici che possono agevolmente essere usati per gli sporadici casi che si presentassero (per chi li usa).

ANTIPOLIO

Anche qui le centinaia (e probabilmente migliaia) di casi di morte e di invalidità da polio nell'occidente avanzato, almeno negli ultimi 10 anni, sono per lo più dovuti alla vaccinazione. In Italia la malattia (normalmente benigna) stava naturalmente sparendo negli anni '20-'30, e le sue crisi sono "stranamente" apparse in concomitanza con l'introduzione degli obblighi dell'antivaiolosa (1934), dell'antidifterica (1939), e con le prime antipolio (1956) e soprattutto con la prima vera campagna del '58. Comunque questo vaccino è il più pericoloso, tanto che secondo il CDC (equivalente del nostro Istituto Superiore della Sanità), nei ultimi 14 anni ci sono stati negli USA 125 casi di polio da vaccino, che rapportati alla popolazione italiana equivarrebbero ad un poliomielitico all'anno circa. Piuttosto giova ricordare che la polio è apparsa nel terzo mondo solo dopo le campagne vaccinali "per salvarli", e che ad esempio anche la campagna antipolio (italiana) del '96 in Albania ha prodotto una grave epidemia di polio, (76 casi in perfetta concomitanza di tempo per lo più fra le persone a contatto dei vaccinati), dimostrando cosi la sua pericolosità in popolazioni con cattiva nutrizione ed igiene, mentre in paesi "benestanti" ha dimostrato la sua inutilità.

14-04-2014

Nell'antica Roma le donne per schiarire le loro ciocche brune si servivano di un sapone prodotto con una miscela di sego e cenere, chiamato sapo, oppure di cenere di betulla, tuorli d'uovo e fiori di camomilla per riflessare le loro chiome. Se dopo questi trattamenti non sortiva l'effetto desiderato, ricorrevano alla parrucca. Alle Romane non bastava che i capelli fossero lucenti, forti e sani...li desideravano "biondi come quelli di una Nordica". Si perde dunque nella notte dei tempi, la moda di tingersi i capelli. Un costume motivato esclusivamente dalla civetteria e dal desiderio di seduzione, e oggi sempre più indotto dalle nuove tendenze. Così mentre in un passato recente le tinture erano utilizzate soprattutto per mascherare i capelli bianchi, oggi non c'è donna che non si tinga, e il piacere di cambiare colore è sempre più frequente anche fra gli uomini.
La moda di oggi è il risultato di forti investimenti, in ricerca e pubblicità, dell'industria cosmetica per anticipare gusti e tendenze, cercando di offrire prodotti all'avanguardia, destinati a soddisfare e a conquistare una percentuale sempre maggiore di mercato. Un mercato in espansione. Un affare, quello delle tinture, che ha visto la nascita e la diffusione anche di prodotti "fai da te", che promettono di mantenere la salute dei capelli e il colore nel tempo. Sugli scaffali di profumerie, super ed ipermercati sono esposti shampoo coloranti e tinture arricchiti di vitamine e antiossidanti, eccipienti utili per proteggere il capello e conservare più a lungo possibile il colore. Ma ci si può fidare? Alcuni studi americani accusano le tinture per capelli di aumentare il rischio di tumore alla vescica e di una forma di linfoma, il non Hodgkin. Nel 2001, l'International Journal of Cancer pubblicava uno studio condotto a Los Angeles che si concludeva con una pesante accusa: dei 1514 casi di tumore alla vescica presi in esame, ben 897 riguardavano donne che facevano uso di tinture permanenti.
La ricerca individuava un fattore di rischio di 3,3 volte superiore per le donne che ricorrevano regolarmente alle tinture (almeno una volta al mese) da 15 o più anni, rispetto a quelle che non le adoperavano affatto. Dagli studi epidemiologici del Prof. Tongzhang Zheng dell'Università di Yale invece si rileva un incremento di rischio di linfoma solo nelle persone che hanno utilizzato frequentemente tinture per capelli, in particolare quelle scure, prima del 1980. Dopo tale data sembra infatti che le ammine aromatiche, ingredienti molto comuni nella maggior parte delle tinture, dalle proprietà cancerogene, siano state eliminate dalle formulazioni dei prodotti coloranti. Ciò non toglie, secondo lo studio di Zheng, che altre sostanze a distanza di anni possano rivelarsi ad alto potenziale tossico. Ma al di là del rilascio di sostanze cancerogene, è noto che le tinture possono danneggiare strutturalmente il capello a causa dell'assorbimento di composti di sintesi. Benché sia costituito da tre strati, uno dei quali la cuticola, che svolge una funzione protettiva, il capello per la sua esile costituzione assorbe facilmente qualsiasi inquinante con cui entra in contatto.
Per queste ragioni è in aumento la richiesta da parte dei consumatori di prodotti cosmetici naturali. In questa ottica suscitano sempre maggior interesse le tradizionali tinture vegetali poiché possono essere usate con tranquillità, essendo del tutto prive di tossicità. Le piante tradizionalmente indicate dalla letteratura erboristica per la cura e la colorazione dei capelli sono diverse, ma quella di gran lunga più utilizzata è senza dubbio la Lawsonia inermis, più comunemente nota come Hennè, della quale solo in Italia si consumano circa 30 tonnellate all'anno.
Al di fuori dell'Henné si possono distinguere tre tipi di tinture in funzione della durata della colorazione:

- Shampoo, coloranti o lozioni dopo shampoo. Consentono una colorazione temporanea, quindi modificano solo temporaneamente la tonalità naturale del capello, donando riflessi e fulgore alla capigliatura. I prodotti coloranti utilizzati hanno un alto peso molecolare, si depositano sulla cuticola del capello (senza penetrarla) e vengono eliminati con lo shampoo.
I più utilizzati sono i coloranti azoici, trifenilmetanici, antrachinonici, indoaminici.

- Shampoo coloranti per una colorazione semi-permanente. Garantiscono una tenuta di colorazione superiore ai coloranti temporanei, resistono a diversi lavaggi (da 4 a 8). Ravvivano il colore naturale e mascherano i primi capelli bianchi. Non possono essere utilizzati come schiarenti. I più utilizzati appartengono alla famiglia dei coloranti nitrati (ortodiamine nitrate, paradiamine nitrate), azoici o metallici.

- Tinture a colorazione permanente. Consentono una modificazione durevole del colore naturale, avvalendosi di una reazione chimica di ossidazione che determina l'integrazione di molecole coloranti all'interno del fusto del capello. La colorazione permanente resiste bene agli shampoo e consente inoltre di schiarire o di scurire i capelli in diverse gamme di colori.

Il principio di questi prodotti sembra semplice: le molecole della sostanza colorante, dopo aver attraversato la cuticola del capello, vengono ossidate in modo da poter trasmettere il colore alla cheratina. In realtà, i meccanismi di ossidazione sono estremamente complessi e richiedono l'impiego di composti come fenilendiamine, aminofenoli, diidrossibenzeni, polifenoli, tutte sostanze altamente allergicizzanti, se non tossiche.

In conclusione, l'utilizzo dei coloranti vegetali permette di ottenere riflessature di notevole bellezza, ma presenta numerosi limiti di fronte all’eterogeneità di situazioni che si possono presentare: presenza di capelli bianchi, capelli sottoposti a trattamenti di permanente, stiratura, decolorazione e tintura. In quest'ultimo caso si rischia addirittura di ottenere tonalità indesiderate.
C'è inoltre la difficoltà ad ottenere tonalità scure, come nero e castano, che rende i coloranti vegetali in particolar modo dipendenti dalla "base" su cui vengono applicati. Una soluzione interessante è quella di integrare la capacità tintoria di alcune piante, con quella dei coloranti moderni, in miscele standardizzate in modo da avere ogni volta un prodotto sicuro e controllato. Spesso infatti, la capacità tintoria delle piante differisce a seconda del luogo d'origine e la stagione di raccolta. Il problema di quest'ultima generazione di tinture è che spesso vengono addizionate con sostanze tossiche, complice la completa assenza di normativa in proposito. Anche quando vengono vendute con la dicitura di "tinture naturali", in realtà si tratta di prodotti che di naturale hanno solo la presenza della sostanza tintoria vegetale. Come orientarsi dunque? La scelta più sicura è quella di utilizzare Henné puro. Nel caso questo non fosse possibile e non si voglia rinunciare comunque alla tintura è bene seguire alcune precauzioni:

1. preferire le tinture formulate con pigmenti naturali, soprattutto nei casi di capelli sfibrati, deboli, molto fini e già sottoposti ad altri trattamenti di natura sintetica come permanenti;

2. evitare rigorosamente qualsiasi prodotto tintoreo sintetico durante la gravidanza. Le sostanze contenute possono, se assorbite dalla pelle, provocare danni gravi al feto;

3. nei casi di eczema, psoriasi o dermatiti al cuoio capelluto, o in presenza di qualche reazione allergica a qualche sostanza chimica, si sconsiglia vivamente di effettuare qualsiasi forma di trattamento ritenuto "potenzialmente tossico".

Domenica, 13 Aprile 2014 09:25

I SEGRETI DELLA CELIACHIA.

13-04-2014

È mai possibile che la diffusione pressochè «epidemica» della celiachia, cioè dell'assoluta intolleranza al glutine che può innescare anche gravi patologie conseguenti, possa essere dovuta ad una modificazione genetica approntata sul frumento? Questa ipotesi non è nuova e su di essa si sono spesso avventati, smentendola con ferocia, i sostenitori delle biotecnologie e dei cibi Ogm. Ma ora, grazie all'intuizione di uno scienziato di esperienza pluridecennale in campo medico, pare possa arricchirsi di ulteriori dettagli, chiarendosi all'opinione pubblica. Il professor Luciano Pecchiai, storico fondatore dell'Eubiotica in Italia e attuale primario ematologo emerito all'ospedale Buzzi di Milano, ha avanzato una spiegazione di questa possibile correlazione causa-effetto su cui occorrerebbe produrre indagini scientifiche ed epidemiologiche accurate. «È ben noto che il frumento del passato era ad alto fusto - spiega Pecchiai - cosicchè facilmente allettava, cioè si piegava verso terra all'azione del vento e della pioggia. Per ovviare a questo inconveniente, in questi ultimi decenni il frumento è stato quindi per così dire 'nanizzato' attraverso una modificazione genetica». Appare fondata l'ipotesi che la modifica genetica di questo frumento sia correlata ad una modificazione della sua proteina e in particolare di una frazione di questa, la gliadina, proteina basica dalla quale per digestione peptica-triptica si ottiene una sostanza chiamata frazione III di Frazer, alla quale è dovuta l'enteropatia infiammatoria e quindi il malassorbimento caratteristico della celiachia.
«È evidente - amette lo stesso Pecchiai - la necessità di dimostrare scientificamente una differenza della composizione aminoacidica della gliadina del frumento nanizzato, geneticamente modificato, rispetto al frumento originario. Quando questo fosse dimostrato, sarebbe ovvio eliminare la produzione di questo frumento prima che tutte le future generazioni diventino intolleranti al glutine». E non è da escludere che sia proprio questo uno degli scogli più difficili da superare. La riconversione della produzione, una volta che questa sia entrata a regime e abbia prodotto i risultati economici sperati, diviene impresa assai ardua e incontrerebbe senza dubbio molte resistenze. Di qui la probabile mancanza di interesse ad approfondire una simile ipotesi per trovarne l'eventuale fondamento. D'altra parte, nessuno ancora ha trovato una spiegazione al fatto che l'incidenza della celiachia è aumentata in maniera esponenziale negli ultimi anni e l'allarme non accenna a rientrare. «Mentre qualche decennio fa l'incidenza della malattia era di 1 caso ogni mille o duemila persone, oggi siamo giunti a dover stimare 1 caso ogni 100 o 150 persone» spiega Adriano Pucci, presidente dell'Associazione Italiana Celiachia. «Siamo dunque nell'ordine, in Italia, di circa 400mila malati, di cui però soltanto 55mila hanno ricevuto una diagnosi certa e seguono una dieta che può salvare loro la vita».
In molti sostengono che l'aumento dei casi di celiachia sia una conseguenza del miglioramento delle tecniche diagnostiche, ma la spiegazione non convince, appare eccessivamente semplicistica e riduttiva. Fatto sta che, anzichè cercare spiegazioni sulle cause, cosa che permetterebbe di provvedere poi alla loro rimozione, la ricerca oggi percorre direzioni opposte, ipotizzando e sperimentando ulteriori modificazioni genetiche del frumento stesso per «deglutinare», cioè privare del glutine, ciò che ne è provvisto o «immettere» nel frumento caratteristiche proprie di cereali naturalmente privi di glutine.

Domenica, 13 Aprile 2014 09:21

CHEMIO: TUTTO QUELLO CHE CI VIENE NASCOSTO.

13-04-2014

Sono molte le voci che negli anni hanno sollevato perplessità sull'utilizzo di terapie farmacologiche che faticano a rendere il cancro una malattia meno mortale e che arrancano nella cura. Uno studio pubblicato nel 1975 sulla rivista medica Lancet destò scalpore. Quattro ricercatori inglesi effettuarono uno studio prospettico randomizzato su 188 pazienti con cancro inoperabile ai bronchi e scoprirono che la vita media di quelli trattati con chemioterapia completa fu di tre volte più breve rispetto a quelli che non ricevettero alcun trattamento. Ma per lo più queste voci sono rimaste inascoltate e la tendenza è a procedere nel solco sinora segnato, anche se negli ultimi anni la ricerca pare essersi aperta alla sperimentazione di farmaci cosiddetti biologici, ricavati cioè da risorse e sostanze che il corpo stesso produce. Per avere un quadro attuale delle percentuali di sopravvivenza con le terapie convenzionali, nulla è meglio della consultazione dei dati del National Cancer Institute (NCI) americano, uno dei più prestigiosi centri di studio e ricerca sul cancro a livello internazionale, che fornisce informazioni sull'efficacia delle attuali metodiche e sulla sopravvivenza dei malati di cancro. Da queste informazioni non si trae certo un quadro confortante.
Innanzi tutto occorre specificare che il NCI, come del resto l'oncologia convenzionale, utilizza la riduzione della massa tumorale e la sopravvivenza media a 5 anni dalla diagnosi come indici di efficacia delle terapie effettuate; ma in alcuni casi la riduzione della massa tumorale non appare essere decisiva per la sopravvivenza del paziente. Inoltre, per ottenere una visione realistica e compiuta dell'efficacia delle terapie oncologiche convenzionali, occorrerebbe poter conoscere le percentuali di sopravvivenza anche ben oltre i 5 anni dalla diagnosi. Ma vediamo qualche esempio sintetico, sulla base delle informazioni tratte dalle schede tecniche fornite dal sito del NCI e redatte per gli operatori sanitari.

CANCRO RENALE

Solo il 40% dei pazienti con cancro renale trattato con terapie convenzionali è ancora vivo a 5 anni dalla diagnosi, sempre che il cancro venga diagnosticato in fase precoce e non si presenti invasivo. Il cancro renale è uno dei tumori per i quali sono ben documentati casi di regressione spontanea in assenza di terapia. La resezione chirurgica è il trattamento d'elezione; le terapie sistemiche hanno mostrato solo effetti limitati. Nel cancro al primo stadio la resezione può essere parziale o totale con l'asportazione del rene, di ghiandole, del grasso pararenale e del tessuto intorno; negli stadi successivi è quasi sempre totale. Per coloro che non sono in grado di subìre l'intervento, la terapia radiante ha solo un effetto che viene definito 'palliativo'.
Nel cancro al secondo stadio si esegue quasi sempre la linfoadenectomia, anche se la sua efficacia non è stata provata definitivamente. La terapia radiante viene somministrata prima e dopo l'asportazione del rene, ma non vi sono prove conclusive sull'aumento della sopravvivenza rispetto al solo utilizzo della chirurgia. Per questo tipo di cancro al quarto stadio non ci sono cure; sia la radioterapia che la chirurgia sono palliativi. Anche qui sono documentati casi di regressione spontanea: in uno studio prospettico su 73 pazienti con cancro renale avanzato, il 7% ha avuto regressione senza intervento né terapia.

LINFOMA NON HODGKIN

Il NCI afferma che con i moderni trattamenti la sopravvivenza a 5 anni può arrivare al 50% dei pazienti; se la forma tumorale è però aggressiva solo il 30-60% dei malati può essere trattato. La stragrande maggioranza delle recidive si ha nei primi 2 anni dopo la terapia. Il NCI raccomanda di valutare attentamente la tossicità del trattamento. Sono in corso numerosi studi clinici per trovare trattamenti più efficaci e i pazienti, se possibile, dovrebbero esservi inclusi. Effetti tardivi dei trattamenti possono essere sterilità permanente, rischio di un secondo cancro, disfunzioni cardiache e leucemia mielogena.

LEUCEMIA LINFOBLASTICA

Il 60-80% degli adulti con questa leucemia può attendersi una remissione (cioè ritorno a valori normali del sangue) completa dopo terapia, secondo le informazioni del NCI; ma solo il 35-40% di questi pazienti con remissione può vivere fino a 2 anni dopo la diagnosi con un'aggressiva combinazione di chemioterapici. Con trattamenti precoci a base di una combinazione di chemioterapici ci possono essere remissioni nell'80% dei casi ma che durano solo 15 mesi, poi la leucemia ricompare. Questa malattia viene definita spesso fatale e i pazienti che presentano una recidiva dopo la remissione muoiono solitamente nel giro di 1 anno, anche se si riesce ad ottenere una seconda completa remissione.

LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA

Dalle informazioni del NCI risulta chiaro, anche in questo caso, che remissione (cioè riduzione della massa tumorale o, nel caso delle leucemie, ritorno alla normalità dei valori ematologici in seguito a terapia convenzionale) non significa sempre sopravvivere al cancro. Infatti i dati del NCI dicono che con terapie convenzionali si ottiene remissione nel 60-70% dei pazienti, ma poi solo il 25% di questi può vivere in media fino a 3 anni dopo la diagnosi. Tra i bambini, il 95% può ottenere remissione, il 75% di questi è ancora vivo a 5 anni dalla diagnosi.

MELANOMA

Spessissimo in pazienti con questo cancro viene somministrato interferone. Il NCI afferma che la chemioterapia non aumenta la sopravvivenza. È documentata la regressione spontanea, cioè senza trattamenti, del melanoma maligno in casi pari a poco meno dell'1%.

CARCINOMA DEL PANCREAS

Questa forma di cancro, dice il NCI, ha un'altissima mortalità; il cancro del pancreas esocrino ha una percentuale di sopravvivenza a 5 anni inferiore al 4%. I pazienti che hanno un cancro al pancreas ad una fase precocissima senza alcuna estensione all'esterno dell'organo possono sopravvivere fino a 5 anni dopo la diagnosi in una percentuale che va dal 18 al 24%. I pazienti con questo tipo di cancro, a qualunque stadio esso sia, possono essere considerati candidati per studi su nuovi trattamenti poiché chemioterapia, radioterapia e chirurgia hanno dimostrato scarsa efficacia, seppure vengano convenzionalmente usati.

CANCRO DEL POLMONE A CELLULE NON-PICCOLE

Dice il NCI: poiché i trattamenti oggi a disposizione non sono considerati soddisfacenti, i pazienti che hanno i requisiti possono essere considerati candidati per studi sperimentali su nuove forme di trattamento. Spesso se questo cancro è in uno stadio precoce si attua un'asportazione chirurgica; la mortalità postoperatoria immediata va dal 3 al 5% e la metà di quelli che sopravvivono presentano una recidiva anche dopo la completa resezione. I pazienti inoperabili trattati con radioterapia hanno una sopravvivenza a 5 anni in una percentuale che va dal 10 al 27%. Uno studio clinico su 1209 pazienti operati per asportare il tumore non ha mostrato alcuna differenza nella sopravvivenza tra malati successivamente trattati con chemioterapici e non trattati.

CANCRO ALLA VESCICA

Ogni volta che è possibile, dice il NCI, i pazienti dovrebbero essere inclusi in studi clinici per migliorare le terapie standard. Fino al 95% dei pazienti con un cancro già piuttosto esteso sono a rischio di progressione della malattia nei 5 anni successivi alla diagnosi. Quando il cancro è molto superficiale ad uno stadio precoce, trattamenti come chirurgia, chemioterapici, radioterapia possono portare ad una sopravvivenza a 5 anni che va dal 55 all'80%.
Se il tumore è profondo ed invasivo la sopravvivenza a 5 anni va dal 20 al 40% dei pazienti trattati.
Se il tumore invade le visceri pelviche o i linfonodi, casi di sopravvivenza sono rari. L'utilizzo di radioterapia preoperatoria non ha mostrato vantaggi in termini di sopravvivenza. Uno studio randomizzato ha mostrato che, dopo resezione chirurgica, solo il 57% dei membri di un gruppo che aveva ricevuto chemioterapici era vivo dopo 5 anni. Ai pazienti che non possono essere sottoposti a cistectomia radicale, con cancro al terzo stadio, viene somministrata radioterapia con una sopravvivenza a 5 anni del 30%. Non è stato riscontrato miglioramento della sopravvivenza media associando chemioterapia sistemica. Nel cancro al quarto stadio c'è ben poco da fare.

CANCRO DELL’ENDOMETRIO

Dopo isterectomia, non è provato il miglioramento della sopravvivenza con terapia radiante e gli effetti tossici possono essere notevoli. Con cancro al quarto stadio il trattamento ormonale produce risposta nel 15-30% dei pazienti, ma il NCI non fornisce dati sulla sopravvivenza.

CANCRO AL CERVELLO

Il NCI fornisce schede tecniche per ogni tipo di tumore cerebrale. Si considerano qui, come esempio, l'astrocitoma anaplastico, l'astrocitoma diffuso e il glioblastoma. Il NCI per il primo e il terzo tipo afferma che hanno una bassa percentuale di cura con i trattamenti locali standard e che i malati sono candidati appropriati per studi clinici che provino nuove forme di trattamento. Per il secondo tipo afferma che è più curabile rispetto ad altri tipi, ma che esistono alcune controversie sul trattamento standard composto dalla chirurgia più radioterapia e che alcuni medici preferiscono evitare la radioterapia soprattutto in pazienti con meno di 35 anni.

RICERCARE NUOVE STRADE

Stando ai dati forniti dal National Cancer Institute americano, risulta auspicabile, ed è stato detto anche da numerosi oncologi, trovare strade diverse che possano garantire percentuali maggiori di sopravvivenza senza gli effetti avversi tossici che le terapie convenzionali hanno e che influiscono non poco sulla qualità della vita. Per avere un'idea di tali effetti tossici, si prendano ad esempio i dati forniti dal dottor Vincenzo Cordiano.
Cordiano, parlando dei trattamenti utilizzati nel Linfoma di Hodgkin afferma che «il tipo di chemioterapia è importante poiché il rischio di leucemia si aggira sul 3% a 10 anni nei soggetti trattati con MOPP o protocolli simili contenenti mecloretamina». «Sono segnalati tumori solidi della mammella, del polmone, della tiroide, delle ossa e del colon soprattutto in soggetti che hanno ricevuto radioterapia. Circa l'80% di questi tumori compare in zone precedentemente irradiate». Cita anche uno studio del NCI, secondo cui «i sopravvissuti avevano il doppio di probabilità di sviluppare un secondo tumore rispetto alla popolazione generale e il rischio rimaneva significativamente elevato per oltre 25 anni», «Tossicità cardiaca - continua Cordiano - può manifestarsi con aterosclerosi coronarica precoce compreso l'infarto, miocardite e pericardite. In pazienti trattati per Linfoma di Hodgkin possono comparire linfomi Non Hodgkin che secondo alcuni studi sarebbero provocati dalla terapia, anche se non è stato sicuramente dimostrato».
Da considerare sono anche le affermazioni che si trovano nel materiale del corso di oncologia medica dell'Università di Firenze, coordinato dal professor Roberto Mazzanti. Gli scritti, «Principi di chemioterapia», sono documenti destinati agli studenti della facoltà di medicina, quindi formano i futuri medici. Si legge: «Un agente antitumorale raramente potrà, da solo, eliminare tutte le cellule cancerose senza dare effetti tossici intollerabili per il paziente. La chemioterapia antitumorale è infatti fortemente limitata dalla sua tossicità». Nella relazione del corso coordinato dal prof. Mazzanti sono elencati gli effetti tossici dei diversi chemioterapici. Vediamone alcuni.

- Agenti alchilanti. «Interagiscono direttamente con il Dna, possono provocare dei legami a ponte (cross-link) tra due filamenti del Dna o anche all'interno dello stesso filamento provocando la rottura completa della molecola di Dna oppure un blocco della trascrizione e della duplicazione. Appartengono al gruppo dei farmaci ciclo aspecifici, cioè danneggiano ogni cellula in qualsiasi fase essa si trovi».

- Mostarde azotate. «La mecloretamina è un derivato di un gas vescicante usato a scopi bellici, il gas iprite. È mielotossica (neutropenia e trombocitopenia)».

- La ciclofosfamide può provocare cistite emorragica. «Molto importante è anche la cardiotossicità che consiste in un infarto miocardico massivo con emorragia interstiziale, edema, versamento pericardico ad insorgenza acuta e decorso sfavorevole».

- Ifosfamide: neurotossicità e danno renale.

- Nitrosuree. «La tossicità dose-limitante è quella del midollo: è tardiva (dopo 4-6 settimane di terapia) e cumulativa. Molto importante anche la tossicità polmonare, renale ed epatica».

- Procarbazina. «Il principale impiego è la terapia MOPP del linfoma di Hodgkin. Numerosi effetti tossici: neurologici, ematologici, gastroenterologici, alopecia, azospermia. È un potente cancerogeno (induce leucemie acute a breve e a lungo termine)».

- Antimetaboliti. Tra questi farmaci, il methotrexate, tra le altre cose, «è mielotossico e provoca gravi danni a livello gastroenterico tanto che talvolta è necessario sospendere la terapia: frequenti la mucosite, diarrea, sanguinamento e addirittura la perforazione. È tossico per fegato e reni».

Ma i chemioterapici non risultano soltanto tossici per chi li assume (per i malati di cancro questi effetti sono considerati 'accettabili' in vista dei possibili effetti terapeutici), ma anche per chi li somministra o sta a contatto con i pazienti che li assumono. A tale proposito risulta interessante la lettura del Rapporto n. 02/16 dell'Istituto Superiore di Sanità che ha preso in considerazione l'esposizione professionale ai chemioterapici antiblastici (CA). «Proprio a causa delle loro proprietà citotossiche e immunosoppressive - si legge nel Rapporto - gli antiblastici possono paradossalmente causare tumori secondari.
Infatti, non sono solo in grado di innescare la trasformazione di cellule normali in maligne, ma tendono a ridurre le difese endogene contro l'insorgenza di neoplasie». E ancora: «Mentre per i pazienti tali effetti tossici sono considerati 'accettabili' in vista dei possibili benefici terapeutici, essi non dovrebbero mai colpire i medici, i farmacisti, gli infermieri e gli altri possibili operatori.
Invece, a partire dagli anni '70, numerosi studi hanno dimostrato la pericolosità dei CA per gli operatori sanitari». «Alcuni degli effetti tossici che colpiscono i pazienti sono stati osservati anche in operatori sanitari e in particolare in infermieri dei reparti oncologici», prima che venissero introdotte le linee guida per la manipolazione dei CA. Ma anche successivamente sono stati rilevati disturbi a livello oculare, cutaneo e respiratorio causati da CA vescicanti; reazioni allergiche da composti del platino e altri CA; possibili tumori causati da CA cancerogeni; effetti sull'apparato riproduttivo, aumento degli aborti spontanei e delle malformazioni congenite. I danni risultano anche trasmissibili all'apparato riproduttivo dei figli degli operatori sanitari.
C'è da chiedersi se queste informazioni vengano fornite dai medici ai malati di cancro quando questi devono prendere una decisione sulla strada da intraprendere.

La pratica del cosiddetto consenso informato informa veramente la persona tanto da renderla capace di fare una scelta?
Come si vede, la situazione è assai delicata e non può essere affrontata con leggerezza, ma è indubitabile che altre strade dovrebbero essere esplorate e percorse per cercare approcci terapeutici maggiormente efficaci e sicuri. Il National Institute of Health americano, una delle maggiori autorità in campo sanitario a livello mondiale, offre una possibilità di riflessione ulteriore, in quanto ha istituito il National Center for Complementary and Alternative Medicine, cioè il Centro Nazionale per le medicine complementari e alternative, che fornisce un'ampia sezione di informazioni dedicate anche all'approccio con il cancro, sottolineando l'esigenza di non ignorare queste diverse strade e di incoraggiare studi clinici in proposito.
Di un simile ente istituzionale, in Italia, non esiste né è mai esistito nemmeno un analogo e qui si fatica non poco a reperire materiale scientifico e rigoroso in merito ad approcci terapeutici anticancro differenti dai protocolli convenzionali.

Un altro filone imboccato di recente dalla ricerca è quello dei cosiddetti farmaci biologici. Si tratta per esempio del neurormone somatostatina (che blocca l'angiogenesi tumorale, cioè la proliferazione dei vasi sanguigni che alimentano il tumore), della melatonina, dei retinoidi, la cui azione antitumorale è stata dimostrata da migliaia di studi scientifici disponibili sulle banche dati mediche, con possibili effetti avversi estremamente meno tossici di chemioterapici e radioterapia.
Tali farmaci, che molti conoscono per essere stati associati alla Terapia Di Bella e quindi sminuiti, stanno suscitando invece gli entusiasmi di quegli oncologi di fama internazionale che sono stati proprio i maggiori detrattori di Di Bella stesso. Nel 2002 Umberto Veronesi ha ricevuto persino un premio per l'uso della somatostatina nella lotta ai tumori e ha attestato sulle riviste mediche l'efficacia dei retinoidi nella cura del cancro; il professor Lissoni dell'ospedale San Gerardo di Monza ha pubblicato numerosi studi scientifici sull'azione antitumorale della melatonina; Franco Mandelli, ematologo alla Sapienza di Roma, ha affermato che l'acido retinoico favorisce la cura delle leucemie promielocitiche. E in tanti si augurano che, lasciati da parte pregiudizi, interessi e potere, si possa veramente imboccare la strada di una prioritaria tutela della vita umana.

STATISTICHE NON ATTENDIBILI

È consigliabile sull'argomento la lettura di una lettera aperta che il dottor Giuseppe Parisi, presidente di una delle maggiori associazioni italiane a difesa dei consumatori, l'Aduc, ha pubblicato sul sito della stessa associazione. Eccone qualche stralcio in merito alle cure contro il cancro: «Ecco che chi ricerca controcorrente, chi mette in discussione le parole d'ordine delle autorità viene punito severamente. È toccata a tanti. Ne cito due, soltanto perchè i più eclatanti. Il professor Luigi Di Bella finito nell'oblìo e il dottor Tullio Simoncini, medico oncologo, perseguitato e sospeso dal suo ordine professionale, deriso, mortificato. Per nostra fortuna non si è lasciato intimidire.
Intanto restiamo fermi alle maratone Telethon. E ancora le grandi serate tv, con ospiti che raccontano di guarigioni dai tumori ormai all'87%. Sono barzellette che non racconterebbe nessun comico; loro lo fanno. Usano semplici trucchi, ne cito qualcuno. Se viene ospedalizzato un paziente, ad esempio, con un tumore al seno e, fatta la terapia, viene poi dimesso, non la chiamano dimissione, ma guarigione. Se dopo tre mesi ritorna con un tumore al fegato, non verrà ricollegato alla sua situazione precedente. Ma c'è di più: se viene dimesso e poi ritorna per controlli e viene di nuovo dimesso, ad ogni passaggio è un dato positivo. Se si viene dimessi 9 volte e si muore una volta sola, alla fine il risultato sarà del 90% di guarigioni e del 10% di mortalità. C'è ancora di più. Per esempio il tumore al testicolo e il tumore al polmone. Del primo si salvano più del 90%, del secondo si arriva a fatica al 10%. Una media stimata sarebbe del 50%, ma non si dice che quelli del testicolo sono solo 2.000, mentre quelli colpiti dal tumore al polmone sono 40.000. Alcuni anni fa fu fatta una grande scoperta, il nuovo farmaco Tamoxifen che sembrava capace di bloccare l'insorgenza di tumore al seno. Ma gli scienziati ammisero che aveva un effetto collaterale: provocava tumore all'utero. Inoltre non si conosce se lo stesso paziente potrebbe vivere di più se si escludesse qualsiasi intervento terapeutico. Di contro ci sono le statistiche che parlano chiaro: l'aggressività di un tumore recidivante diventa esponenziale dopo la chemioterapia».

LA VIA NATURALE

«Le tecniche chirurgiche in oncologica si sono affinate molto in questi ultimi anni, molto più di quanto non sia avvenuto per le terapie farmacologiche convenzionali. Per questo sarebbe utile pensare a protocolli terapeutici anticancro che vedano i farmaci sintetici abbinati a rimedi e approcci, provenienti dalle medicine non convenzionali, che consentano di rendere le cure più efficaci, selettive e meno tossiche». È questo il parere del dottor Paolo Roberti, responsabile del Comitato Permanente di Coordinamento per le Medicine non Convenzionali in Italia. Ci sono tante realtà che hanno acquisito solide basi e che stanno studiando il problema. «Nel novembre 2005, per esempio - spiega Roberti - si è tenuto a Ischia, organizzato da una sezione della Fiamo (Federazione Italiana delle Associazioni di Medicina Omeopatica), un seminario internazionale di oncologia omeopatica che ha raccolto i maggiori esperti dell'argomento.
A metà marzo 2006 si è tenuto a Roma un seminario di omeopatia globale al quale hanno preso parte anche i grandi maestri della scuola messicana, tra le più importanti ed antiche. Per non parlare poi dei successi ottenuti dalla Medicina Antroposofica nella cura dei tumori solidi utilizzando il vischio in una formulazione farmaceutica somministrabile. Insomma, la realtà avanza e l'oncologia convenzionale potrebbe trarre grandi vantaggi volgendo l'attenzione a queste esperienze».
Da oltre un anno viene inoltre pubblicata ad Oxford una rivista medica (indicizzata nelle maggiori banche dati specializzate) che fornisce un aggiornamento su tutti gli avanzamenti e le evidenze scientifiche relative alle terapie complementari e non convenzionali. «Sempre più nel trattamento dei pazienti, oltre a scienza e coscienza, occorre che il medico adoperi e dimostri competenza e perizia» continua Roberti. «Cominciano ad esserci moltissime evidenze scientifiche che vanno al di là dei farmaci convenzionali, ci sono ricerche notevoli anche nel campo della medicina vibrazionale e quantistica, per non parlare degli effetti estremamente positivi mostrati dall'agopuntura nel diminuire gli effetti collaterali di chemioterapia e radioterapia e dell'uso dei chinoni in omotossicologia; non si può più fingere che tutto questo non esista. Occorre che si abbracci appieno il concetto di una medicina centrata sulla persona, in tutti i suoi aspetti, ecologici, biologici e psicologici e questo è possibile aprendosi ad un ricchissimo patrimonio che ancora viene definito medicina con convenzionale».

Domenica, 13 Aprile 2014 09:08

GLUTAMMATO: IL GUSTO CHE UCCIDE.

13-04-2014

Le eccitotossine sono presenti in molti alimenti destinati sia agli adulti che ai bambini. Ma la loro pericolosità è altissima. Se il glutammato, in tutte le sue versioni, fosse proibito immediatamente si vedrebbe un calo ponderale di tutte le sindromi metaboliche, compresa l'obesità infantile, delle malattie neurodegenerative e di molti tipi di tumori. La progressione delle malattie neuro-degenerative, quali il morbo di Alzheimer, Addison, Parkinson e quelle classificate prevalentemente psichiatriche, come l’autismo, è stata correlata per decenni alle intossicazioni da metalli pesanti quali piombo, alluminio, mercurio, oppure ai pesticidi ed agli erbicidi. Tutte sostanze nocive, è vero, ma nessuna delle quali è la vera colpevole del fenomeno. Il killer silenzioso, dal gusto gradevole, si chiama glutammato. Il suo nefasto influsso sulla genesi e sulla proliferazione dei tumori è stata ampiamente dimostrata. Le eccitotossine moltiplicano le probabilità di sviluppare il cancro e, una volta innescato il meccanismo di degenerazione tissutale, le cellule esposte al glutammato monosodico sviluppano delle estensioni denominate ‘pseudopodia’, o ‘falsi piedi’, che consentono loro di mobilitarsi più velocemente creando metastasi diffuse. Sono state certificate importanti correlazioni tra le assunzioni di glutammato, le leucemie ed i linfomi. Secondo studi condotti in Spagna, negli ultimi due anni, l’assunzione di aspartame porta ad un legame quasi indissolubile tra formaldeide e DNA, causa il tumore e lo fa sviluppare molto più rapidamente.
Tra gli alimenti maggiormente incriminati gli estratti della soia. Studi durati 25 anni sui consumatori di questi prodotti ha rivelato, in modo certo, che una semplice scansione cerebrale denotava una percentuale molto maggiore di demenza e di atrofia. La scoperta che i ricettori del glutammato non siano presenti solo nel cervello ma, anche, in tutti gli altri organi e tessuti dell’organismo, ha scatenato una lotta tra le grandi multinazionali alimentari ed i nuovi ricercatori medici e biochimici. La Coca Cola, la Monsanto, i produttori di dolcificanti quali Nutrasweet, i produttori di dadi per brodo, e molti altri, sono intervenuti con forti pressioni sul mondo scientifico. Quello stesso sistema che le Società sovvenzionano con principeschi contributi. Ma ciò che consente al Dottor Russell Blaylock, ed ai suoi ricercatori, di continuare i loro studi e di portarli a conoscenza delle persone è l’appartenenza al mondo accademico ufficiale, alla ricerca scientifica propriamente detta, quella che tutti gli addetti ai lavori conoscono. Non si tratta più di soli bravi, volonterosi, medici ‘alternativi’ ai margini della comunità scientifica. Si tratta di grandi studiosi che fanno parte del sistema e, coscienziosamente, ne denunciano le negligenze e l’interessata omertà.

13-04-2014

L'iperattività infantile è parte della sindrome da iperattività/deficit di attenzione (ADHD), da non confondere con la normale vivacità, che consiste in un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell'adolescente, caratterizzato da iperattività, impulsività, incapacità a concentrarsi che si manifesta generalmente prima dei 7 anni d'età. L'iperattività in Italia, non viene affrontata attraverso l'uso massiccio di psicofarmaci ma ci sono paesi, guarda caso tra quelli considerati più evoluti e civili (Stati Uniti, Francia...), dove i bambini iperattivi vengono curati con un farmaco, il Ritalin, una sorta di tranquillante che blocca in loro la capacità di provare emozioni, che appiattisce le loro reazioni, che, generalizzando, li rende tutti uguali. In Italia molte organizzazioni si stanno movimentando per impedirne l'utilizzo nel nostro paese e, nell'ultimo anno il dibattito è stato molto acceso.
Ci sono studi che affermano che in moltissimi casi l'iperattività infantile è causata dagli effetti collaterali delle normali vaccinazioni, da un dieta errata in cui prevale lo zucchero, da uno stile di vita stressante già a quell'età e, secondo uno studio pubblicato ad aprile su Pediatrics, il giornale dell'American Academy of Pediatrics, da un eccessivo numero di ore passate davanti alla televisione. Ora gli studiosi stanno prendendo di mira i coloranti e i conservanti. Secondo uno studio pubblicato su 'Archives of Disease in Childhood' e condotto su 1.800 bambini di 3 anni, infatti, queste sostanze hanno dimostrato un impatto 'significativo' sui livelli di iperattività a quest'età. L'eliminazione di coloranti e conservanti dagli alimenti per i più' piccoli potrebbe dunque, a lungo termine, diventare una questione di interesse per la salute pubblica, affermano i ricercatori dell'Università di Southampton. Circa 300 piccoli, divisi in quattro gruppi, hanno completato le quattro settimane di studio, focalizzate su iperattività e allergie. In particolare, per i primi sette giorni i bimbi hanno mangiato solo cibi privi di additivi artificiali, mentre nella seconda e quarta settimana sono stati divisi a metà: una parte ha assunto una dose quotidiana di succo di frutta con e l'altra senza coloranti e conservanti. Il tutto senza che né loro nè i genitori sapessero cosa c'era nel succo. Il comportamento dei bimbi è stato monitorato all'inizio e nel corso dello studio, grazie a test e diari compilati dai genitori. Anche mamme e papà ignoravano cosa stessero mangiando le baby-cavie. Così si è scoperto che i piccoli erano decisamente meno iperattivi nel periodo in cui le sostanze artificiali erano state eliminate dal loro menù. Mentre, al contrario, diventavano molto più 'vivaci' dopo il ritorno di coloranti e conservanti nella loro dieta. A 'fotografare' le variazioni sono stati proprio i diari dei genitori, che si sono rivelati molto precisi. Inoltre la presenza di allergie alimentari non sembra avere influito sui risultati. Ora, secondo i ricercatori, occorre verificare se gli stessi effetti si confermano anche nei bambini più grandi.
Quando si scelgono gli alimenti al supermercato, soprattutto quelli destinati ai bambini, è sempre il caso di leggere bene l'etichetta. Il colore e il sapore dei succhi di frutta, ad esempio, è spesso “aiutato” dalla presenza di sostanze chimiche aromatizzanti e acidificanti, e nel caso dei coloranti il ruolo è puramente cosmetico e non porta alcun vantaggio nutrizionale. La presenza di additivi va sempre guardata con attenzione, poiché tra questi alcuni sono segnalati come potenzialmente pericolosi da vari studi epidemiologici. Fra i più usati ci sono E102 tartrazina, E110 giallo arancio ed E124 rosso cocciniglia, sconsigliati per chi è allergico all'aspirina; E104 giallo di chinolina ed E131 blu patent V, che sono vietati in Australia ma non in Italia; E127 eritrosina (rosso) che interferisce con l'attività della tiroide, E122 azorubicina (rosso), E133 blu brillante ed E151 nero brillante, sospettati di essere fra le cause proprio dell'iperattività infantile.

Domenica, 13 Aprile 2014 08:55

COSI' CI INGANNANO SUI FARMACI.

13-04-2014

Uno studio rivela come le aziende farmaceutiche riscrivano gli articoli scientifici per gonfiare le virtù di una medicina o nasconderne i danni collaterali. Ed è sulla base di questi "falsi" che spesso vengono fatte le ricette. Gli articoli scientifici che riportano studi clinici controllati riguardanti nuovi farmaci rappresentano la base per redigere articoli più divulgativi che influenzano le prescrizioni da parte dei medici che raramente leggono gli articoli originali. Le industrie colgono questa opportunità per rendere gli articoli il più possibile favorevoli al nuovo farmaco, facendoli revisionare - o addirittura scrivere completamente - da esperti che rimangono anonimi, sono i cosiddetti "scrittori fantasma". Molto spesso non si tratta di modificare i risultati, ma di presentarli in modo attraente, enfatizzando piccoli risultati e minimizzando l'eventuale presenza di effetti tossici. Particolare attenzione viene riservata al riassunto del lavoro, perché in generale questo non è oggetto di molto interesse da parte dei valutatori, mentre rappresenta la parte dell'articolo che più frequentemente è letta e determina l'impressione finale da parte del lettore.
Questo modo di operare è evidentemente non-etico e non riguarda solo le industrie interessate, ma anche i ricercatori clinici che accettano di firmare lavori scientifici scritti da altri. Uno studio pubblicato su "Plos Medicine" analizza i documenti messi a disposizione da parte della Giustizia Federale degli Stati Uniti che riguardano in particolare parecchi articoli scritti per commentare gli effetti favorevoli della terapia ormonale in menopausa da parte di una ditta specializzata nella stesura di articoli scientifici a pagamento. I ghost writer cercavano di mitigare il rischio di tumore della mammella dovuto all'uso della terapia ormonale magnificando benefici cardiovascolari e prevenzione della demenza, della malattia di Parkinson (e persino delle rughe, senza ovviamente alcuna base scientifica).  Tutto ciò non può che nuocere all'appropriatezza delle terapie, ma serve invece a gonfiare le prescrizioni e i profitti. È importante che i medici siano critici nella lettura della documentazione che ricevono, controllando i dati se possibile sui lavori originali. Occorre anche che il Servizio Sanitario Nazionale dissemini informazioni oggettive per ridurre la sproporzione oggi esistente fra messaggi dell'industria farmaceutica e informazione indipendente.

13-04-2014

Ci hanno sempre insegnato che la cura principale dei tumori è la chemioterapia, cioè terapia a base di sostanze chimiche. Si sono però dimenticati di dirci che queste sostanze di sintesi sono dei veri e propri veleni. Solo chi ha provato sulla propria pelle le famose iniezioni sa cosa voglio dire. Un malato di tumore viene avvertito che la chemio provocherà nausea, vomito, che cadranno i peli del corpo compresi i capelli, forse. Ma siccome è l’unica cura ufficiale riconosciuta per quella malattia, si stringono i denti e si firma il consenso informato. Dovete sapere però che l’Istituto Superiore di Sanità italiano ha fatto stampare un fascicolo dal titolo “Esposizione professionale a chemioterapici antiblastici” per tutti gli addetti ai lavori, cioè per coloro che (solamente!) maneggiano fisicamente le fiale per la chemio (di solito infermieri professionali e/o medici). Fiale che andranno poi iniettate ai malati!
Alla voce Antraciclinici (uno dei chemioterapici usati) c’è scritto: “stomatite, alopecia e disturbi gastrointestinali sono comuni ma reversibili. La cardiomiopatia, un effetto collaterale caratteristico di questa classe di chemioterapici, può essere acuta (raramente grave) o cronica (mortalità del 50% dei casi). Tutti gli antraciclinici sono potenzialmente mutageni e cancerogeni”. Alla voce Procarbazina (un altro dei chemioterapici usati) c’è scritto: “E’ cancerogena, mutagena e teratogena (malformazione nei feti) e il suo impiego è associato a un rischio del 5-10% di leucemia acuta, che aumenta per i soggetti trattati anche con terapia radiante”. L’amara conclusione, che si evince dall’Istituto Superiore di Sanità, è che l’oncologia moderna per curare il cancro, utilizza delle sostanze chimiche che sono cancerogene (provocano il cancro), mutagene (provocano mutazioni genetiche) e teratogene (provocano malformazioni ai figli)! Qualcosa non torna: ad una persona sofferente dal punto di vista fisico, psichico e morale, debilitata e quasi sempre sottopeso, vengono iniettate delle sostanze così tossiche? Questo apparente controsenso - se non si abbraccia l’idea che qualcuno ci sta avvelenando - si spiega nella visione riduzionista e totalmente materialista che ha la medicina, ma questo è un argomento che affronteremo più avanti.

I COSTI DELLA CHEMIOTERAPIA

Dal sito dell’A.I.A.N., Associazione italiana per l’assistenza ai malati neoplastici si evince il costo di un trattamento chemioterapico. “Il costo medio dei cicli chemioterapici che differiscono sostanzialmente nella composizione, varia sensibilmente in base ai farmaci. Comunque il costo si aggira su svariate decine di migliaia di euro per i vari cicli, fino a 50.000 €. L'illusione che la chemioterapia sia gratuita, cade alla considerazione che il cittadino e l' ammalato, i contribuenti, la pagano allo Stato sotto forma di prelievi fiscali. A questi costi esorbitanti si aggiungono gli oneri elevati dell'indotto, ad esempio il trapianto di midollo può comportare la spesa di oltre 50.000 €. L'efficacia temporanea e limitata, l'assenza di effetti risolutivi, l'elevata tossicità rendono ancora più irrazionale ed inaccettabile un così elevato onere finanziario della chemioterapia”. Mentre nel “Giornale italiano di Farmacia clinica” del 21 febbraio 2007 sono stati pubblicati i costi per “l’uso dei farmaci citotossici nei cicli di chemioterapia ‘platinum-based’ analizzati per una corte di 100 pazienti e 6 cicli di terapia”.

1. Costo di 6 cicli di chemioterapia con Paclitaxel associato a Cisplatino (ECOG 1594) per 100 pazienti: 128.217,00 euro.

2. Costo di 6 cicli di chemioterapia con Vinolrelbina associata a Cisplatino (TAX 326 + ILCP) per 100 pazienti: 200.940,00 euro

3. Costo di 6 cicli di chemioterapia con Paclitaxel associato a Carboplatino (ECOG 1594 + ILCP) per 100 pazienti: 216.945,00 euro

4. Costo di 6 cicli di chemioterapia con Gemcitabina associata a Cisplatino (ECOG 1594) per 100 pazienti: 409.020,00 euro

5. Costo di 6 cicli di chemioterapia con Docetaxel associato a Cisplatino (ECOG 1594 + TAX 326) per 100 pazienti: 540.093,00 euro

6. Costo di 6 cicli di chemioterapia con Docetaxel associato a Carboplatino (TAX 326) per 100 pazienti: 548.955,00 euro

Cifre colossali che si riferiscono “solamente” ai costi dei farmaci chemioterapici nei sei tipi di trattamenti terapeutici presi in considerazione nella “Valutazione dei costi associati alle terapie ‘platinum based’” e pubblicate nel Giornale italiano di Farmacia clinica”. Se a questo sommiamo i costi della “somministrazione”, “premedicazione” e “reazioni avverse” il totale ha dell’incredibile!

1. Costo 6 cicli di chemioterapia (Paclitaxel e Cisplatino) + “somministrazione”, “premedicazione” e “reazioni avverse” per 100 pazienti: 452.096,00 euro

2. Costo 6 cicli di chemioterapia (Vinolrelbina e Cisplatino) + “somministrazione”, “premedicazione” e “reazioni avverse” per 100 pazienti: 814.366,00 euro

3. Costo 6 cicli di chemioterapia (Paclitaxel e Carboplatino) + “somministrazione”, “premedicazione” e “reazioni avverse” per 100 pazienti: 467.550,00 euro

4. Costo 6 cicli di chemioterapia (Gemcitabina e Cisplatino) + “somministrazione”, “premedicazione” e “reazioni avverse” per 100 pazienti: 703.251,00 euro

5. Costo 6 cicli di chemioterapia (Docetaxel e Cisplatino) per 100 pazienti: 841.978,00 euro

6. Costo 6 cicli di chemioterapia (Docetaxel e Carboplatino) + “somministrazione”, “premedicazione” e “reazioni avverse” per 100 pazienti: 825.887,00 euro

Ricapitolando:

Sei cicli soltanto di chemioterapia costano per OGNI paziente una cifra che va da 4.520 euro a 8.420 euro.

Nei malati i cicli di chemio da fare non seguono una regola assoluta, anche se quando si somministrano per via preventiva (?) in un paziente che non ha una forma tumorale, esiste un numero prestabilito di cicli. Mentre se la terapia è rivolta a un paziente che ha una malattia in corso, in fase metastatica per esempio, la durata è variabile, e comunque si sospende di solito tra il 6° e l’8 ciclo. Quindi la somministrazione di sostanze chimiche è assolutamente variabile e si può prolungare per molto tempo, facendo lievitare anche i costi per la società e gli utili per le multinazionali produttrici. Tale calcolo però non tiene conto dei costi di operazioni chirurgiche, eventuali trattamenti radioterapici, medicamenti, farmaci, visite, degenze ecc. I malati nuovi di tumore in Italia sono ogni anno circa 270.000 e se tutti questi seguissero i protocolli ufficiali, ogni anno il giro di affari sarebbe di centinaia di miliardi di euro!
Cifre del genere - pagate dal Sistema Sanitario Nazionale e quindi sottratte alla Comunità con le tasse - il potere di lobbies di Big Pharma è così forte che riesce a tenere celate le terapie non convenzionali e tappare la bocca a tutti quei ricercatori indipendenti che hanno il coraggio (o l’incoscienza) di mettere la salute della persona davanti agli interessi economici. Questo potrà spiegare una volta per tutte le persecuzioni mediatiche, giudiziarie, professionali e personali subite da personaggi come Luigi Di Bella, Geerd Ryke Hamer, Tullio Simoncini, Bonifacio, Pantellini, Zora, Gorgun e moltissimi altri grandi ricercatori. Invece di cercare una strada meno dispendiosa, meno sofferente e logicamente con più risultati positivi di guarigione si continua su questa folle corsa dissanguante e disumana. Ma per quanto ancora? Tale follia ha raggiunto il parossismo in Regione Toscana che “rimborserà il costo di una parrucca a tutte le donne che, affette da un tumore, hanno perduto i capelli a causa della chemioterapia”. La magra consolazione delle donne è che “le interessate potranno acquistare la parrucca da loro stesse gradita in uno dei negozi specializzati e poi chiedere il rimborso documentando la spesa”.

I COSTI DELLA RADIOTERAPIA

La mucosite orale è una complicanza (una delle tante) della chemio e radioterapia. Interessa il 77% dei pazienti trattati con radio alla testa e la totalità di quelli sottoposti a trapianto autologo delle cellule staminali trattati con chemioterapia citotossica ad alte dosi. Per questa complicanza viene usato il farmaco Palifermin (è un fattore di crescita dei keratinociti umano). Pensate che il costo di un solo trattamento completo comprendente 6 somministrazioni di 60 mcg/Kg/die corrisponde al costo di una confezione: 4.320,00 Euro! Una sola scatola di questo farmaco costa 4320 Euro. La casa farmaceutica che lo produce si chiama Amgen Inc., il cui presidente è un certo Kevin W. Shaker che risulta avere collegamenti con General Electric (che costruisce i mammografi!) e figura nel direttivo di Northrop Grumman Corporation (società nel campo aerospaziale e della difesa, produttrice di armamenti), e Chevron (petrolio & C.). Secondo le ultime statistiche dell’A.i.r.o. (Associazione italiana di radioterapia oncologica) nel 2002 sono stati 108.000 i pazienti in Italia trattati con la radioterapia. Quindi il 60% dei nuovi malati (270.000 all’anno) si sottopone alla radio! Il costo di una apparecchiatura per la radioterapia si aggira intorno a 1.000.000 di euro, con un costo a trattamento pari a circa 12.000 euro. Un solo trattamento con onde radio (di solito si fanno almeno cinque sessioni) costa la bellezza di 12.000 euro, senza tenere conto del costo di medici, fisici, radioterapisti, tecnici dosimetristi, costi di gestione e manutenzione ecc. Una persona malattia può fare diversi cicli di radioterapia, per cui anche dietro le radioterapie ruotano cifre colossali.
Senza dimenticare che esistono numerosi modelli (diversificati anche nei prezzi): “Radioterapia a intensità modulata”, “Radioterapia intraoperatoria”, “Radioterapia stereotassica” (altissima precisione con altissimi costi), “Gamma Knife” (Raggi Gamma), “Cyberknife” (acceleratore lineare miniaturizzato collegato a braccio robotica), “Brachiterapia” (utilizzo di piccole sfere radioattive introdotte nell’organismo), “Adroterapia” (radioterapia a fasci di ioni di idrogeno o carbonio) ecc. ecc. Un altro dato interessante sono le sostanze chimiche usate in combinazione con le terapie radiologiche. Dal “Centro di riferimento regionale sul farmaco” l’agente antineoplastico usato spesso con la radioterapia, il cui principio attivo si chiama Cetuximab, costa (per solo otto settimane di trattamento) 7.722,80 euro (prezzo fornito dalla ditta farmaceutica). Quindi la radioterapia tra apparecchiatura e un solo farmaco, senza considerare le strumentazioni tecnologiche all’avanguardia, costa per ogni seduta più o meno 20.000 euro!!!

I COSTI DI UN TRATTAMENTO ONCOLOGICO UFFICIALE

Considerando i due principali strumenti terapeutici nelle mani degli oncologi ad esclusione della chirurgia, e cioè chemio e radio, con un solo ciclo (6 per la chemio e 5 per la radio) vediamo quanto costa il tumore oggi in Italia. Attualmente sappiamo esserci da noi 1,7 milioni di ammalati e oltre 270.000 nuovi malati ogni anno. La conclusione, senza entrare troppo nel dettaglio e nel particolare, è la seguente: il tumore in Italia (solamente tra chemio e radio, escludendo quindi chirurgia, costi di degenza, farmaci vari, apparato medico e infermieristico) è indubbiamente una delle patologie più costose!

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