Angelo Ortisi

Angelo Ortisi

21-10-2019

Uno studio tedesco pubblicato nel settembre del 2011 su circa 8.000 bambini non vaccinati, in età compresa tra gli 0 ed i 19 anni, mostra che i bambini vaccinati contraggono almeno 2-5 volte in più malattie e disturbi rispetto ai bambini non vaccinati. Il dato è confrontato con lo studio tedesco KIGGS sulla salute dei bambini nella popolazione nazionale. La maggior parte dei partecipanti al sondaggio erano statunitensi. I dati sono stati raccolti da genitori con bambini non vaccinati tramite un questionario via Internet di vaccineinjury.info e Andreas Bachmair, un medico tedesco omeopatico. Lo studio indipendente è auto-finanziato e non è sponsorizzato da una grande e “credibile” organizzazione sanitaria non-profit o del governo con conflitti di interesse politici e finanziari. Ognuno degli 8.000 casi, sono casi reali con documentazione medica. Tre altri studi hanno avuto risultati simili secondo Bachmair e sono di seguito riportati:

ALZBURGER STUDIO

Risultati: i 1.004 bambini non vaccinati, hanno avuto:

• Asma= 0% (8-12% nella popolazione normale)
• Dermatite = 1,2% (10-20% nella popolazione normale)
• Allergie= 3% (25% nella popolazione normale)
• ADHD 0,79% (5-10% in media tra i bambini)

STUDIO A LUNGO TERMINE IN GUINEA-BISSAU (AFRICA OCCIDENTALE)

I figli di 15.000 madri sono stati osservate dal 1990-1996 per 5 anni.
Risultato: il tasso di mortalità nei bambini vaccinati contro la difterite, il tetano e la pertosse è due volte superiore rispetto ai bambini non vaccinati (10,5% contro 4,7%).

STUDIO NUOVA ZELANDA-SURVEY (1992)

Lo studio ha coinvolto 254 bambini. In cui 133 bambini sono stati vaccinati e non vaccinati sono rimasti 121.

RISULTATO:

- Asma: vaccinati 20 (15%); non vaccinati 4 (3%).

- Eczema o eruzioni cutanee allergiche: vaccinati 43 (32%); non vaccinati 16 (13%).

- Otite cronica: vaccinati 26 (20%); non vaccinati 8 (7%).

- Tonsillite ricorrente: vaccinati 11 (8%); non vaccinati 3 (2%).

- Mancanza di respiro e la sindrome della morte improvvisa del lattante: vaccinati 9 (7%); non vaccinati 2 (2%).

- Iperattività: vaccinati 10 (8%); non vaccinati 1 (1%).

Nessuno studio che confronti lo stato di salute di persone vaccinate contro quelle non vaccinate è stata mai condotta negli Stati Uniti dal CDC o da qualsiasi altra agenzia nei 50 anni o più di un programma di vaccinazioni (ormai più di 50 dosi di 14 vaccini vengono somministrate prima della scuola dell’infanzia, 26 dosi il primo anno). La maggior parte dei dati raccolti dal CDC è contenuto nel database del Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS). Il VAERS contiene generalmente solo il 3-5 per cento di informazioni relative ad incidenti causati da vaccini.
Questo semplicemente avviene perché solo alcune reazioni immediate sono segnalate dai medici, ma molte altre non sono ammesse in quanto non ritenute essere reazioni al vaccino. Pertanto i numeri riportati nel VAERS sono solo reazioni immediate. Le malattie e i disturbi indotti dai vaccini non vengono riconosciuti da genitori o medici quando queste condizioni si sviluppano da pochi mesi a cinque anni o più di distanza dalla vaccinazione e non sarebbero mai stati riconosciuti come conseguenza di vaccinazioni multiple. In altre parole, molti bambini e adulti hanno malattie e disturbi che sono indotti da vaccino e non hanno mai sospettato che la causa derivi dai vaccini, così come indica questo studio. Come dimostrato da questo studio e dal grafico i bambini non vaccinati non solo corrono meno rischi rispetto a quelli a cui vengono somministrate le vaccinazioni ma sono anche più sani.

 

https://healthimpactnews.com/2011/new-study-vaccinated-children-have-2-to-5-times-more-diseases-and-disorders-than-unvaccinated-children/?fbclid=IwAR3T9PDN1njPUfOC5tkU-mRUF43IuKX4OpYcWYjjjEEH6Pj0b9pIqUcFkkY

https://www.vaccineinjury.info/images/stories/ias1992study.pdf?fbclid=IwAR07z96n3uMjTX3WZHqfb0XGeqXnrMfxp9YwiCiHOFhwiXl6LAFyllKUNeo

Lunedì, 21 Ottobre 2019 17:32

BROCCOLI: LO SCUDO CONTRO I PRIMI FREDDI.

21-10-2019

Si mangiano per intero, gambo compreso e ci offrono sali minerali, vitamine, fibre e antiossidanti che aiutano persino contro i tumori, come affermano diverse ricerche. I broccoli (ortaggi della famiglia delle Crucifere) sono indicati per disintossicare e rinforzare l’organismo nei giorni del cambio di stagione, dove occorre trovare “nuova linfa” per affrontare freddo e virus con la giusta energia. Dei broccoli si consuma anche il gambo (previa cottura al vapore): qui si trovano le sostanze che migliorano la risposta immunitaria e possono neutralizzare anche le cellule cancerogene, come hanno confermato qualche tempo fa le ricerche condotte alla Johns Hopkins University School of Medicine, alla Bloomberg School of Public Health e al Qidong Liver Cancer Institute di Jiangsu, vicino a Shanghai. A un centinaio di persone è stato fatto bere per 2 settimane un centrifugato di broccoli interi e un altro gruppo ha assunto un beverone-placebo; alla fine della ricerca, l’analisi delle urine ha rivelato che nel primo gruppo le sostanze cancerogene erano sparite. Il merito è dei sulforafani e dei glucosinolati, due antiossidanti che stimolano l’organismo a produrre enzimi che bloccano l’insorgenza dei tumori.
I broccoli contengono 178 mg di calcio per etto di prodotto e, se si pensa che un adulto sano dovrebbe consumare circa 700-800 mg di calcio al giorno, si può ben comprendere come i broccoli si rivelino un alimento prezioso a tale scopo. Inoltre i broccoli sono ricchi di boro, un minerale che trattiene il calcio nelle ossa e contribuisce alla sua fissazione: ecco perché questi ortaggi sono preziosi per prevenire l’osteoporosi, i dolori articolari e quelli cervicali, oltre ad essere indicati per i ragazzi in crescita e le donne in menopausa.
I broccoli sono ricchissimi anche di vitamina A, B1, B2 e C, ferro, fosforo, potassio, sostanze che alzano uno scudo protettivo su tutto l’organismo. I broccoli svolgono un’azione preventiva nei confronti delle malattie degenerative del cervello e sono antinfiammatori: ecco perché consumare broccoli ci mette al riparo da virus ed influenze. Evita di acquistare broccoli dalla consistenza molle o con parti sbiadite o ingiallite, e preferisci gli ortaggi con le foglie verdi e carnose, che si spezzano con una piccola pressione delle dita. I broccoli si conservano in frigorifero per 2-3 giorni, non di più.

21-10-2019

Il suo colore, arancione o rosso vivo, ricorda quello del fuoco e infatti il nome scientifico Diospyros in greco significa “fuoco di Zeus”. Una volta ingerito, il suo effetto è invece l’esatto opposto del fuoco ardente, perché è un ottimo emolliente del tubo digerente, specialmente dell’intestino. La polpa gelatinosa del cachi contiene pochissime proteine e grassi. Della sua composizione ricordiamo soprattutto le seguenti sostanze:

- Zuccheri: è composto da un 15% di zuccheri. Il più abbondante è il fruttosio, seguito da glucosio e saccarosio.

- Pectina e mucillagini: sono carboidrati complessi, responsabili della consistenza gelatinosa della polpa del cachi che, insieme alla mela, è uno dei frutti più ricchi di pectina. La pectina e le mucillagini sono i componenti più importanti delle cosiddette fibre vegetali di tipo solubile, le quali costituiscono il 3,6% del frutto. La pectina e le mucillagini trattengono acqua, aumentando il volume delle feci e facilitandone così l’evacuazione. Trattengono anche zuccheri, che perciò non vengono assorbiti rapidamente (come accade invece ingerendo lo zucchero puro), ma poco a poco. Similmente, trattengono il colesterolo presente nel tubo digerente e proveniente dagli alimenti di origine animale, facendo in modo che una parte venga eliminata con le feci. La pectina e le mucillagini del cachi immediatamente leniscono e disinfiammano le pareti del tubo digerente, specialmente nell’ultimo tratto (intestino crasso).

- Tannini: sono composti fenolici dal grande potere astringente e coagulano le proteine, formando sulle mucose uno strato asciutto e resistente. I tannini si riconoscono subito per la sensazione aspra che trasmettono al palato. La loro azione astringente è tanto più grande, quanto più sono concentrati. Esistono varietà di cachi più ricche di tannini rispetto alle altre, ma in tutte i tannini diminuiscono (se addirittura non scompaiono completamente) nelle ultime fasi del processo di maturazione. La massima concentrazione di tannini nei cachi si raggiunge nel mese di ottobre, quando non sono ancora perfettamente maturi (in genere il mese della maturazione è novembre).

- Carotenoidi: sono sostanze derivate dal betacarotene e il nostro organismo le usa per produrre vitamina A (per questo prendono il nome di provitamina A). I carotenoidi sono importanti perché esercitano una provata azione antiossidante, che ritarda l’invecchiamento cellulare, combatte l’arteriosclerosi e previene il cancro. Dei cinque carotenoidi presenti nel cachi, segnaliamo per abbondanza il licopene (presente anche nel pomodoro) e la criptoxantina. Questi carotenoidi son responsabili del colore arancione o rossiccio. Il cachi è uno dei frutti più ricchi di carotenoidi: 100 g forniscono il 22% del fabbisogno giornaliero di vitamina A per un adulto, quindi un cachi di dimensioni medie (250 g) fornisce la metà della quantità giornaliera raccomandata.

- Vitamina C: il cachi non è uno dei frutti più ricchi di vitamina C, ma fornisce una quantità comunque notevole e sufficiente a favorire l’assorbimento di ferro che contiene.

- Ferro: dopo il potassio, è il minerale più abbondante nel cachi. Un frutto di 250 g fornisce il 10% del fabbisogno giornaliero di ferro di un adulto, una quantità abbondante trattandosi di un frutto fresco.

Tutti questi componenti fanno del cachi un frutto indicato in caso di:

MALATTIE INTESTINALI

Esercita una blanda azione astringente sulle pareti intestinali, perché i tannini (astringenti), la pectina e le mucillagini (emollienti) agiscono contemporaneamente. Alcune varietà di cachi e i frutti non troppo maturi possono esercitare un’azione astringente più intensa di altri. I cachi inoltre disinfiammano l’intestino, perché sono ricchi di pectine e mucillagini e per l’alto contenuto di carotenoidi. Contro ogni tipo di diarrea e colite, si consigliano da tre a sei cachi al giorno, che contribuiscono a normalizzare rapidamente il passaggio intestinale e a disinfiammare le mucose dell’apparato digerente. I cachi completamente maturi, quelli con la polpa più morbida (si riconoscono dal sapore più dolce), contengono pochissimi tannini e quindi sono meno astringenti (e poco efficaci per arrestare la diarrea rispetto ai cachi poco maturi); tuttavia sono sempre ottimi antinfiammatori dell’intestino e sono utili in caso di colite cronica, spasmi intestinali, meteorismo e colon irritabile.

MALATTIE CARDIOCIRCOLATORIE

Sono molto indicati in caso di arteriosclerosi, ipertensione arteriosa e malattie cardiache in generale, perché sono poveri di grassi e di sodio e ricchi di carotenoidi, che proteggono le arterie.

ANEMIA

La piccola quantità di ferro che contengono viene assorbita molto bene, grazie alla presenza di vitamina C. In caso di anemia ferropriva (da mancanza di ferro), il tipo più frequente di anemia, si consiglia di mangiare cachi in abbondanza.

DIABETE

Il cachi è un frutto dolce, ma i diabetici lo tollerano bene per due motivi:

1. Più della metà del loro 15% di zucchero è formata da fruttosio, lo zucchero naturale della frutta. Questo tipo di zucchero richiede meno insulina per essere sfruttato dalle cellule dell’organismo e i diabetici, il cui pancreas produce meno insulina, tollerano e sfruttano meglio il fruttosio.

2. I cachi sono ricchi di fibre vegetali di tipo solubile, sotto forma di pectina, che trattengono gli zuccheri nell’intestino e li liberano lentamente. In questo modo, il fruttosio non si trasforma rapidamente in glucosio nel sangue (il che sarebbe dannoso per i diabetici), ma attraverso un processo lento e graduale.
Per l’azione benefica sull’intestino e il contenuto di carotenoidi e di ferro, i cachi sono particolarmente indicati per i diabetici.

PREPARAZIONE E USO

- Crudo: il cachi si può mangiare solo nei mesi autunnali, perciò bisogna approfittare di questo periodo per mangiarne in abbondanza. In caso di diarrea, si possono mangiare fino a sei cachi al giorno.

- Purè di cachi: è molto apprezzato per preparare creme, marmellate, gelatine e composte. Si combina molto bene con la ricotta, lo yogurt e la panna.

Venerdì, 18 Ottobre 2019 09:05

CECI: UNA FONDAMENTALE FONTE DI PROTEINE.

18-10-2019

In India, dove la maggior parte della popolazione segue una dieta prevalentemente vegetale, i ceci costituiscono una delle principali fonti di proteine. Ma i ceci sono stati anche uno degli ingredienti fondamentali della dieta dei popoli delle coste del Mediterraneo e costituiscono ancora oggi l’alimento principale di molti piatti tradizionali. Forse per questo, i ceci son ostati considerati dagli abitanti delle metropoli più ricche e moderne il “cibo dei poveri”; oggi però sono proprio questi cittadini, minacciati da malattie che un tempo non erano diffuse (arteriosclerosi, infarto, stress ecc.), ad aver bisogno di un buon passato di ceci. Grazie alle loro notevoli proprietà dietoterapiche, questi umili legumi sono un alimento adatto per gli uomini e le donne di oggi, perché riducono il colesterolo, prevengono la stitichezza e rafforzano il sistema nervoso. I ceci sono anche un alimento molto energetico (364 kcal/100 g), nutriente ed equilibrato. Forniscono le sostanze nutritive più importanti, eccetto la vitamina B12 (come accade con tutti gli alimenti di origine vegetale), la provitamina A e le vitamine C ed E (presenti in piccole quantità). Le sostanze nutritive fornite dai ceci sono:

- Proteine: presenti in quantità notevoli (19,3%), superiori a quelle della carne e delle uova, ma inferiori a quelle fornite da altri legumi, come soia, lenticchie o fagioli. Si tratta di proteine complete, che contengono tutti gli aminoacidi (essenziali e non essenziali) e sono poveri solo dell’aminoacido solforato metionina. Alcuni specialisti della nutrizione hanno eccessivamente sottolineato questa deficienza di proteine dei ceci (che è comune a tutti i legumi), ma senza considerare che tutti i cereali, come ad esempio il riso, che ai ceci si accompagnano, compensano abbondantemente questa parziale carenza di metionina. Legumi e cereali, insieme, forniscono una proteina di eccellente qualità biologica.

- Carboidrati: i ceci sono ricchissimi di carboidrati (43,3%), soprattutto di amido, che, masticato e ben inumidito di saliva, si trasforma lentamente in glucosio durante la digestione.

- Grassi: i ceci contengono il 6,04% di grassi, cioè più delle lenticchie e dei fagioli, ma meno della soia. La maggior parte sono polinsaturi.

- Vitamine: le più abbondanti sono quelle del gruppo B, infatti 100 g di ceci forniscono 0,477 mg di vitamina B1, cioè un terzo del fabbisogno quotidiano di questa vitamina. I ceci sono anche una buona fonte di vitamine B2 e B6, e sono ricchi di folati, che intervengono anche sul buon funzionamento del sistema nervoso e riducono il rischio d’infarto: 100 g di ceci forniscono quasi il triplo della quantità giornaliera raccomandata di questa sostanza.

- Minerali: soprattutto il ferro (6,24 mg/100 g, quasi il triplo della carne), il fosforo (366 mg/100 g), il potassio (875 mg/100 g), il magnesio (115 mg/100 g), il calcio (105 mg/100 g) e lo zinco (3,43 mg/100 g).

I ceci possono benissimo costituire il piatto principale di un pasto, perché sono un alimento quasi completo, con una proporzione di sostanze nutritive piuttosto equilibrata. Il loro consumo regolare è indicato nei seguenti casi:

AUMENTO DEL COLESTEROLO

Mangiare più ceci e meno alimenti a base di carne riduce il livello di colesterolo e migliora la salute delle arterie; infatti i ceci contengono pochi grassi di alto valore biologico (mono e polinsaturi), che contribuiscono a ridurre il livello di colesterolo nel sangue, e le loro fibre impediscono l’assorbimento nell’intestino del colesterolo proveniente da altri alimenti (i ceci non contengono colesterolo). Nel complesso i ceci contribuiscono a prevenire l’arteriosclerosi in tutte le sue manifestazioni, incluso l’infarto del miocardio.

STITICHEZZA

Le fibre dei ceci stimolano naturalmente i movimenti peristaltici intestinali (quelli che fanno avanzare le feci).

DISTURBI FUNZIONALI DEL SISTEMA NERVOSO

I ceci si consigliano per combattere i disturbi funzionali del sistema nervoso causati da carenza di vitamine del gruppo B, come l’irritabilità, il nervosismo e la mancanza di concentrazione. Sono molto indicati per chi soffre di stress o di depressione nervosa.

GRAVIDANZA

I ceci sono un alimento ideale durante la gravidanza, perché sono ricchi di folati, che prevengono le malformazioni del sistema nervoso nel feto, e ricchissimi di proteine, ferro e altri minerali.

CARENZA DI ZINCO

Alcuni specialisti della nutrizione enfatizzano il fatto che un’alimentazione vegetariana può essere povera di zinco, ma i ceci, come le lenticchie e la soia, sono un’eccellente fonte di questo minerale e 100 g di ceci contengono più zinco (3,43 mg) di 100 g di carne (2,97 mg).

PREPARAZIONE E USO

- Cotti: è il modo più comune di mangiare i ceci come contorno nelle minestre e negli intingoli; si armonizzano molto bene con i piatti di riso.

- Tostati al forno o fritti: sono un pò indigesti, perché una parte dell’amido che contengono resiste ai succhi gastrici.

- Farina di ceci: molto usata in Liguria e in Toscana per preparare la famosa farinata e in India, dove serve per il falafel.

Venerdì, 18 Ottobre 2019 09:00

ECZEMA: 8 RIMEDI NATURALI.

18-10-2019

L'eczema è una reazione infiammatoria della pelle, con particolare riferimento al derma (dermatite), che provoca prurito e arrossamento, con la possibile formazione di crosticine e bollicine. Tra i fattori che possono causare l'eczema il più diffuso è rappresentato dalle allergie da contatto con sostanze indesiderate, come quelle che potrebbero essere contenute nei detersivi, nei cosmetici o in alcuni abiti. Si parla anche di eczema atopico o dermatite atopica, causato da reazioni allergiche o da altri fattori, come particolari condizioni climatiche o infezioni batteriche. Ecco alcuni rimedi naturali utili per l'eczema.

1. ALOE VERA

L'aloe vera è uno dei rimedi naturali più popolari e utilizzati in caso di eczema. Si tratta di acquistare preferibilmente del gel d'aloe vera biologico in erboristeria, che sia il più possibile puro e che non contenga profumazioni aggiunte o altri ingredienti che possano contribuire ad irritare la pelle. Il gel d'aloe vera ha proprietà lenitive e calmanti. In generale è adatto al trattamento delle pelli sensibili e arrossate.

2. SALI DI EPSOM

I sali di Epsom, conosciuti anche come sali inglesi, sono un rimedio naturale a base di solfato di magnesio. Hanno proprietà emollienti e sono utili in caso di eczema e pelle irritata. In questo caso vengono utilizzati soprattutto disciolti in acqua per un bagno lenitivo e rilassante. Provate a versare un bicchiere di sali di Epsom nella vasca da bagno per godere dei loro effetti benefici.

3. BICARBONATO DI SODIO

Il bicarbonato di sodio è un rimedio naturale dai mille utilizzi. Per quanto riguarda l'eczema il consiglio è di utilizzarlo per un bagno lenitivo per la pelle. Ad esempio si può aggiungere una tazza di bicarbonato all'acqua della vasca e rimanere immersi per 20 minuti. Altrimenti si può immergere un panno in acqua e bicarbonato da applicare sulla pelle come un impacco.

4. ACETO DI MELE

L'aceto di mele presenta proprietà antibatteriche e antifungine che possono aiutare a ridurre i segni lasciati sulla pelle dall'eczema. Il consiglio è di applicare di tanto in tanto dell'aceto di mele mescolato con acqua in parti uguali come rimedio utile per ridurre il prurito e la secchezza della pelle. L'aceto di mele, assunto come alimento, può contribuire a ridurre l'infiammazione della pelle.

5. OLIO EXTRA VERGINE D'OLIVA

L'olio extravergine d'oliva ha potenti effetti antinfiammatori, può contribuire ad ammorbidire la pelle e a ridurre il rossore. Si può applicare l'olio extravergine d'oliva in piccole quantità direttamente sulla pelle, magari massaggiando delicatamente senza grattare e aiutandosi con un batuffolo di cotone o con un panno morbido.

6. CAMOMILLA

La camomilla è nota per le sue proprietà calmanti e lenitive. La potrete utilizzare semplicemente come tisana per agire dall'interno e ridurre lo stress che potrebbe essere tra le motivazioni della comparsa dell'eczema. Potete preparare un normale infuso di camomilla, lasciarlo raffreddare o almeno intiepidire, e applicarlo sulla pelle con un panno umido come impacco.

7. BURRO DI KARITE'

Il burro di karitè è un vero e proprio toccasana per la pelle arrossata e in caso di eczema. Aiuta a lenire rossore e prurito e a rendere la pelle più elastica. Potete acquistare facilmente del burro di karitè puro, da utilizzare come se fosse un unguento, in erboristeria o da internet. Basta prelevarne un pochino dalla confezione con la punta del cucchiaino e scioglierlo tra i palmi delle mani per applicarlo più facilmente dove serve.

8. OLIO DI COCCO BIOLOGICO

Potete trovare l'olio di cocco biologico in erboristeria o su internet. Questo rimedio naturale è considerato molto efficace in caso di eczema. Il consiglio è di scegliere olio di cocco biologico spremuto a freddo, in modo che il prodotto possa mantenere le sostanze, i minerali e gli enzimi utili per la pelle. Potete applicare l'olio di cocco sulla pelle come se si trattasse di una lozione o di una crema.

18-10-2019

L’acido ellagico è un potente antiossidante polifenolico che si trova in certi frutti e piante, come i melograni o i lamponi. Sono stati realizzati un gran numero di studi in diverse Università in ogni parte del mondo per dimostrare gli effetti dell’acido ellagico. La maggior parte sono degli studi in vitro o sugli animali, che indicano in modo particolare che l’acido ellagico:

- previene l’arteriosclerosi in alcuni conigli con iperlipidemia, diminuendo lo stress ossidativo. Protegge alcuni ratti dallo stress ossidativo indotto dall’alcol;

- modifica la genotossicità indotta dalla nicotina;

- agisce come un agente disintossicante legandosi ai cancerogeni, rendendoli così inattivi;

- impedisce ai cancerogeni di legarsi al DNA, riducendo così l’incidenza di tumori in alcune colture cellulari umane esposte ad alcuni cancerogeni;

- ha delle proprietà antimutagene;

- favorisce la guarigione delle ferite e potrebbe far regredire una fibrosi epatica indotta chimicamente.

Sono stati condotti alcuni test clinici da più di nove anni all’Università di medicina della Carolina del sud. Mostrano che l’acido ellagico potrebbe:

- rallentare la crescita di cellule anomale del colon nell’uomo;

- prevenire lo sviluppo di cellule infettate dall’HPV, un virus legato al tumore del collo dell’utero;

- inibire il tumore della prostata e dell’utero. L’acido ellagico inciterebbe le cellule cervicali cancerogene all’apoptosi (morte cellulare). Dei test rivelano dei risultati simili per alcune cellule di tumore del seno, del pancreas, dell’esofago, della pelle, del colon e della prostata;

- interrompere il processo che porta alla mutazione delle cellule e inibire la progressione del tumore nelle persone che hanno una predisposizione genetica a questa malattia;

- prevenire la distruzione nelle cellule cancerogene del gene p53, un gene regolatore che permette alle cellule di dividersi normalmente;

- inibire la mutagenesi e la cancerogenesi tramite formazione di aggiunte al DNA, bloccando così i punti di legame sulle cellule occupati da un mutageno o da un cancerogeno. La capacità di inibire la cancerogenesi è stata dimostrata negli animali su alcuni tumori dell’esofago, della lingua, dei polmoni, del colon, del fegato e della pelle;

- esercitare un’azione protettiva nel caso di lesioni epatiche sperimentali;

- proteggere i cromosomi dalle lesioni prodotte dalle radiazioni così come dalla lipoperossidazione che possono provocare. In alcuni topi sottoposti a un trattamento che combinava acido ellagico e radiazioni, l’acido ellagico ha protetto le cellule sane dai danni causati dalle radiazioni.

Uno studio di fase III su alcuni pazienti affetti da tumore della prostata avanzato suggerisce che l’acido ellagico potrebbe ridurre la tossicità indotta dalla chemioterapia. Non ha tuttavia avuto nessuna azione sullo sviluppo della malattia ne ha migliorato la sopravvivenza dei pazienti. Alcuni studi sugli animali e sull’uomo indicano che l’acido ellagico controlla le emorragie, probabilmente grazie alla sua capacità di attivare il fattore Hageman, una proteina di coagulazione.

18-10-2019

1. ECHINACEA

L'echinacea mostra una buona azione immunostimolante aspecifica. In seguito alla sua assunzione è stato osservato l'incremento di fagocitosi, globuli bianchi, della produzione e attività macrofagica e della produzione di interferone e interleuchine. In uno studio è stato osservato l'effetto dell'echinacea purpurea assunta ai primi sintomi di raffreddore in 199 soggetti. Fu rilevato che 240 mg al giorno di estratto secco per 8 giorni era stato efficace nel 68% dei pazienti. Un'altra rassegna del 1999 ha analizzato 9 studi di trattamento e 4 di prevenzione sull'efficacia dell'assunzione orale di echinacea nella riduzione dell'incidenza di infezioni acute e delle alte vie respiratorie. Gli autori hanno concluso che l'echinacea sembra essere efficace soprattutto se somministrata all'esordio della malattia. L'attività antibatterica dell'echinacea sembra collegata soprattutto all'echinacoside. È stata dimostrata attività batteriostatica e fungistatica nei confronti di Staphylococcus aureus, Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa ed Epidermophyton interdigitale. La sua attività antivirale sembra particolarmente attiva contro l'Herpes simplex tipo I e l'influenza di tipo A2. In alcuni studi clinici l'associazione di echinacea e crema antimicotica ha mostrato la riduzione di Candida albicans.

2. ALOE VERA

L'acemannano estratto dalla pianta dell'Aloe vera è un polisaccaride idrosolubile a catena lunga dal forte effetto immunostimolante. Aumenta l'attività fagocitaria dei macrofagi, la risposta delle cellule T agli agenti patogeni e la produzione di interferone e altre sostanze immunostimolanti.

3. ASTRAGALO

L'astragalo è un'erba medicinale usata in Cina contro le infezioni virali. Gli esperimenti sugli animali hanno dimostrato che agisce stimolando vari elementi del sistema immunitario, soprattutto nei casi in cui è stato danneggiato da sostanze chimiche o radiazioni. Nei topi immunodepressi, l'astragalo annulla le anomalie delle cellule T provocate dalla ciclofosfamide (un farmaco antitumorale), dalle radiazioni e dall'invecchiamento. Aumenta inoltre l'attività delle cellule T nei topi normali. Analoghi risultati positivi sono stati ottenuti in malati di tumore immunodepressi in seguito alla chemioterapia.

4. IDRASTE

Pur essendo utilizzata soprattutto per le proprietà antibatteriche, l'idraste ha anche un notevole effetto sul sistema immunitario. In particolare, aumenta l'afflusso di sangue alla milza, permettendole così di rilasciare una maggiore quantità di sostanze immunostimolanti. Il principale alcaloide dell'idraste, la berberina, ha anche la capacità di attivare i macrofagi, ovvero le cellule preposte all'inglobamento e alla distruzione di batteri, virus, miceti e cellule tumorali.

5. SHIITAKE

Il fungo shiitake viene usato da secoli nella medicina tradizionale cinese per aumentare la resistenza alle infezioni. Il suo effetto deriva in gran parte da un complesso polisaccaride, detto lentinano, che non è tossico e ha una dimostrata attività immunostimolante e antitumorale. Stimola i macrofagi, aumenta la produzione di interferone e di linfociti T, intensifica l'attività dei linfociti T helper e quella battericida dei macrofagi. È stato dimostrato inoltre in un gruppo di pazienti di età compresa tra 14 e 77 anni affetti dalla sindrome da basse cellule natural killer (low natural killer syndrome) che il lentinano aumenta l'attività delle cellule natural killer; è interessante notare che si trattava di pazienti che non avevano risposto alla terapia convenzionale con antipiretici o antibiotici.

6. AGLIO

L'uso dell'aglio per i disturbi infettivi risale a prima della storiografia scritta. Esistono documenti in sanscrito che ne attestano l'uso 5000 anni fa e i cinesi lo utilizzano da più di 3000 anni. In Occidente l'aglio come rimedio per varie malattie è citato in Ippocrate, Aristotele e Plinio. Un gran numero di ricerche ha dimostrato che l'aglio è dotato di molte proprietà immunostimolanti, la maggior parte delle quali sembrano da attribuire a composti solforati volatili quali allicina, disolfuro di allile, trisolfuro di allile, ecc. Sia l'aglio fresco, sia i prodotti commerciali contenenti allicina e i preparati a base di polvere di aglio sono dotati di queste proprietà. L'aglio potenzia l'attività antipatogena dei linfociti T, dei neutrofili e dei macrofagi; stimola la sintesi di interleuchina e aumenta l'attività delle cellule natural killer. Quest'ultimo effetto è stato del 140% in soggetti che prendevano l'equivalente di due bulbi di aglio al giorno e del 156% in soggetti che prendevano 1.800 mg di polvere di aglio dearomatizzata. Inoltre l'aglio (ma non la polvere di aglio) ha un'azione antimicrobica ad ampio spettro contro molti tipi di batteri, virus, parassiti e miceti.

7. GINSENG COREANO

Oltre a essere utile soprattutto contro lo stress, il ginseng fa bene al sistema immunitario, anche a chi apparentemente gode di ottima salute. In un esperimento tre gruppi di 20 volontari sani hanno ricevuto ciascuno 100 mg di estratto acquoso di ginseng, 100 mg di un placebo a base di lattosio o 100 mg di un estratto standardizzato di ginseng (ginsenosidi 4%) ogni 12 ore per 8 settimane. Dopo 4 settimane nei due gruppi che avevano ricevuto il ginseng è stato osservato un incremento del numero di linfociti nel sangue e della fagocitosi dei patogeni. L'effetto di immunostimolazione è ulteriormente aumentato nelle quattro settimane successive. L'estratto standardizzato di panax ginseng è risultato il più efficace, probabilmente perchè contiene più ginsenosidi, che sono i principi attivi più importanti del ginseng. E' dimostrato inoltre che il ginseng rimedia alle conseguenze sul sistema immunitario della ciclofosfamide, un farmaco molto tossico usato nella chemioterapia contro i tumori mammari. In uno studio sui topi la somministrazione orale di alte dosi per cinque o sei giorni ha portato a notevolissimi aumenti della formazione di anticorpi (le IgG e le IgM sono aumentate del 50 e del 100% rispettivamente), dell'attività delle cellule natural killer (aumento del 44-150%) e della produzione di interferone. I risultati dipendevano dalle dosi somministrate. Un simile potenziamento del sistema immunitario sembra incredibile, ma le dosi (equivalenti negli esseri umani adulti a 500-125.000 mg al giorno) erano molto più elevate di quelle normalmente usate e considerate prive di effetti collaterali. Il ginseng è indicato soprattutto per rafforzare a lungo termine le difese immunitarie.

8. ELEUTEROCOCCO

Anche l'altro tipo di ginseng, detto siberiano, migliora la funzione immunitaria. In 36 volontari sani, 10 ml di estratto alcolico standardizzato di eleuterococco hanno determinato un aumento drastico del numero di immunocellule nel sangue. In particolare sono aumentati i linfociti T e le cellule natural killer e citotossiche. I linfociti T, oltre a essere più numerosi, sono risultati più attivi.

9. BROMELINA

Pur non potenziando la funzione immunitaria di per sè, la bromelina (o bromelaina) è comunque utile per sostenere il sistema immunitario durante alcune infezioni. È un enzima che si estrae dal fusto dell'ananas e ha vari effetti, il più importante dei quali è aumentare l'assorbimento di agenti antimicrobici e sciogliere il muco con cui i batteri si proteggono dal sistema immunitario. Alcuni studi hanno evidenziato l'effetto antibiotico della bromelina in vari processi infettivi, per esempio la polmonite, l'ascesso perirettale, le infezioni cutanee da stafilococchi, la pielonefrite e la bronchite.

Venerdì, 18 Ottobre 2019 08:53

4 MOTIVI FONDAMENTALI PER ASSUMERE VITAMINA D.

18-10-2019

La vitamina D è il nome generico che definisce un gruppo di composti liposolubili essenziali per il bilancio del calcio. Tra questi i più attivi sono la vitamina D2, o ergocalciferolo (di origine vegetale) e la vitamina D3, o colecalciferolo (di origine animale). La sintesi della vitamina D3 inizia sulla cute con la isomerizzazione della pro-vitamina D in pre-vitamina D3, per azione dei raggi ultravioletti. Un particolare meccanismo di controllo a livello cutaneo previene la sua eccessiva sintesi, producendo metaboliti inattivi. La pre-vitamina D3 isomerizza in vitamina D3 che viene assorbita attraverso i capillari nel sistema sanguigno. La sua funzione fisiologica principale consiste nel promuovere l’assorbimento di calcio e fosforo attraverso la mucosa intestinale, rendendo possibile la calcificazione dello scheletro. Svolge inoltre un ruolo importante nell’assicurare un corretto funzionamento di muscoli, nervi, coagulazione sanguigna e utilizzo dell’energia, essendo un fattore essenziale per l’omeostasi minerale. È possibile incorrere nella ipovitaminosi a causa di cattive abitudini alimentari (vegetariani stretti o allergie a latte e derivati), scarsa esposizione alla luce solare, patologie epatiche o renali, farmaci che accelerano il consumo di vitamina D e patologie di malassorbimento.

MINERALIZZAZIONE OSSEA

Le concentrazioni di vitamina D diminuiscono con l’invecchiamento, a causa della riduzione del suo apporto con la dieta e del suo assorbimento, diminuzione dell’esposizione alla luce solare e della sua conversione a livello renale. La vitamina D risulta il secondo dei nutrienti essenziali per la salute dell’osso e la sua carenza può favorire lo sviluppo dell’osteoporosi attraverso la riduzione dell’assorbimento intestinale di calcio con conseguente iperparatiroidismo secondario. Numerosi studi hanno rilevato che il trattamento combinato calcio/vitamina D è in grado di ridurre la perdita dell’osso e il rischio di fratture vertebrali sia in donne all’inizio della menopausa, sia in quelle più anziane. Recentemente questi effetti sono stati confermati anche nell’uomo.

CANCRO

La vitamina D sembra proteggere contro alcuni tipi di cancro tra i quali colon, retto, seno, melanoma e prostata. I ricercatori hanno scoperto che questo nutriente riduce la proliferazione cellulare e le metastasi sia nel cancro al colon che nel melanoma, diminuendo la dimensione del tumore. In studi sul cancro al seno, la forma ormonale di vitamina D, 1,25-(OH)2 D3, ha mostrato la capacità di aumentare l’effetto della doxorubicina (farmaco che aumenta le difese dell’organismo contro le cellule cancerose) e avere un diretto effetto citotossico sulle cellule cancerose. Uno studio condotto nel 1999 su 84 pazienti affetti da carcinoma del colon-retto e 30 pazienti di controllo, ha mostrato la correlazione tra apporto con la dieta di calcio e vitamina D e incidenza di carcinoma colorettale. I ricercatori hanno trovato che le concentrazioni sieriche del metabolita attivo, 1,25-(OH)2 D3, erano molto ridotte nei pazienti allo stadio avanzato della malattia. Una rassegna di 20 studi caso controllo pubblicati ultimamente, suggerisce che un basso rischio di cancro colorettale sia associato a un apporto ottimale di vitamina D. Nel 1999 il NHANES I (National Health and Nutrition Examination Survey) ha valutato l’incidenza di sviluppare cancro al seno in 190 donne che partecipavano ad uno studio di coorte su 5.009 donne bianche. I risultati mostrarono che una buona esposizione alla luce solare e un corretto apporto di vitamina D nella dieta sono fattori associati alla riduzione del cancro al seno.

DIABETE E PRODUZIONE INSULINA

In uno studio pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition (Maggio 2004) alcuni ricercatori hanno studiato il collegamento tra concentrazioni di vitamina D e sensibilità all’insulina su 126 soggetti sani. I risultati hanno evidenziato un elevato rischio di resistenza all’insulina e di sindrome metabolica nei soggetti che presentavano bassi livelli di vitamina D. Un recentissimo studio italiano, che conferma precedenti sperimentazioni, ha mostrato che la carenza di vitamina D è un fattore prevalente nei soggetti affetti da diabete di tipo 2. La percentuale osservata è di tre pazienti su cinque. Lo studio, condotto su 459 pazienti e un gruppo di pari numero costituito da soggetti sani, ha riscontrato la carenza di questo importante nutriente nel 61% dei diabetici, contro il 43% del controllo.

SCLEROSI MULTIPLA

Un recente studio ha osservato l’effetto dell’assunzione di vitamina D e l’incidenza di sclerosi multipla. I ricercatori hanno esaminato i dati provenienti da due ampi studi di coorte su una popolazione femminile: Nurses’ Health Study (studio di 20 anni che ha coinvolto 92.000 donne) e Nurses’ Health Study II (10 anni, 95.000 partecipanti). Durante il follow-up si manifestarono 173 casi di sclerosi multipla. I risultati mostrarono che le donne che assumevano 400 U.I./die o più di vitamina D sotto forma di integratori, avevano il 40% in meno di probabilità di sviluppare sclerosi multipla, di quelle che non usavano supplementi.

 

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9488592

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10350434

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11115787

11-10-2019

Sono ormai diversi anni che la cannabis viene utilizzata a scopo terapeutico per combattere i sintomi dei malati di cancro, come nausea, vomito da chemioterapia o ridurre insonnia, ansie e perdita di appetito. Iniziano però ad aumentare gli studi e le sperimentazioni per che utilizzano questa pianta proprio nella terapia e nel trattamento dei tumori stessi. L’ultimo caso giunge dall’Inghilterra, un paziente affetto da cancro ai polmoni ha deciso di assumere olio a base di CBD per combattere il cancro scoprendo che gli effetti del suo utilizzo ne avrebbero dimezzato le dimensioni e bloccato la progressione. Le generalità dell’uomo non sono state rese pubbliche, ma quello che si sa è che l’anziano inglese ha rifiutato le cure tradizionali come la chemio e radioterapia e optato per il trattamento a base del cannabinoide non psicoattivo. I sorprendenti risultati sono stati notati dai medici che avevano in cura il paziente e che hanno deciso di pubblicare un report sulla rivista scientifica Sage Open in cui si legge che: “ I dati presentati indicano che l’auto-somministrazione dell’olio di CBD per un mese può aver avuto un ruolo nella risposta straordinaria in un paziente con adenocarcinoma istologicamente provato al polmone, in assenza di qualsiasi altro cambiamento identificabile nello stile di vita, farmaci assunti o cambiamento della dieta. Sono necessari ulteriori studi sia in vitro che in vivo per valutare meglio i vari meccanismi di azione del CBD sulle cellule maligne e la sua potenziale applicazione nel trattamento non solo del cancro del polmone ma anche di altri tumori maligni”.
Non è il primo caso salito alla ribalta per i suoi esiti sbalorditivi. Già la FDA, ente americano che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, si era espressa positivamente riguardo gli effetti della cannabis considerandola come capace di contrastare le forme più gravi di cancro al cervello. L’altro esempio invece era giunto grazie ad un team di scienziati del Dana-Farber Cancer Institute della Harvard University che ha pubblicato i risultati di uno studio rivelando che, una sostanza chimica presente nella cannabis, ha dimostrato “un potenziale terapeutico significativo” nel trattamento del cancro al pancreas. Anche in Italia lo IEO, l’Istituto Europeo di Oncologia, ha iniziato a somministrare cannabis insieme alle terapie tradizionali e a monitorare le condizioni dei pazienti. Sul caso si è espresso anche il Dott. Nabissi, ricercatore dell’Università di Camerino, studioso della tematica sulla quale ha rilasciato diversi report e pubblicazioni: “Un case report come questo è attualmente l’unico modo per rafforzare gli studi con i cannabinoidi raccontando il singolo caso clinico: è quello che sto cercando di fare anche io con alcuni medici ed è l’unico modo per dare forza all’effetto sinergico dei cannabinoidi, sperando che qualcuno autorizzi uno studio clinico di portata più vasta”. L’auspicio è quindi che si continuino ad effettuare studi preclinici e clinici con la marijuana ed i suoi estratti, come avviene negli Stati Uniti per il trattamento di numerose patologie e condizioni, come le malattie autoimmuni, l’Aids, la sclerosi multipla, il morbo di Alzheimer così da poter permettere a tante persone di farne uso per le proprie cure.

 

https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/2050313X19832160

 

11-10-2019

Che il sonnellino a metà giornata facesse bene dal punto di vista cardiovascolare lo avevamo già scoperto grazie a una ricerca effettuata dall’European Society of Cardiology e a un’altra, condotta dall’Asklepieion General Hospital in Grecia, secondo la quale le persone abituate al sonnellino pomeridiano hanno maggiori probabilità di contenere la pressione arteriosa. Ma ora un nuovo studio approfondisce la questione, affermando che a contare, in termini di salute, è soprattutto la frequenza del sonnellino. Lo studio intitolato “Association of napping with incident cardiovascular events in a prospective cohort study”, pubblicato su Heart, afferma che l’ideale per prevenire infarti e ictus sia fare almeno uno o due pisolini alla settimana.
La ricerca è giunta a questo risultato analizzando l’associazione tra frequenza del pisolino, sua durata media e rischio di problemi cardiovascolari in 3.462 soggetti di Losanna, Svizzera, di età compresa fra 35 e 75 anni, nell’arco di tempo compreso tra il 2003 e il 2006. I soggetti sono stati seguiti per una media di 5 anni dopo il primo controllo avvenuto 3 anni dopo l’inserimento nella ricerca. Si è così constatato che chi faceva 1-2 pisolini settimanali, circa il 20% dei soggetti analizzati, aveva un rischio di infarto, ictus o insufficienza cardiaca inferiore del 48% rispetto a chi non lo faceva affatto. E questo indipendentemente da fattori come età, durata del sonno notturno, sonnolenza diurna, regolarità del sonno, depressione. Gli unici fattori che hanno influenzato questo legame sono stati età molto avanzata, oltre i 65, e apnea notturna grave. Diversa la situazione di chi, invece, faceva pisolini ogni giorno, il 10% dei soggetti, perché in questo caso non si sono rilevati benefici particolari dal punto di vista cardiovascolare. Invece per quanto riguarda la durata del pisolino, i ricercatori non hanno evidenziato un rapporto tra di essa e il rischio di malattie cardiovascolari.

 

https://heart.bmj.com/content/early/2019/08/16/heartjnl-2019-314999

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